PD: IL FUTURO DI UN PARTITO

Il 2012 si chiude con un Partito Democratico (PD) che sembra aver evidenziato più di un’anima e, di conseguenza, non un’univoca matrice nel tessuto nazionale. Ciò ad una manciata di mesi dalle elezioni politiche generali. La pluralità, segno di democrazia, paga, però, un suo prezzo sul fronte delle possibili alleanze. Perché, qualunque sarà la legge elettorale, da soli non si governa. Col secolo scorso, il Partito ha terminato la sua fase riformista ed ha trovato una strade assai difforme dalle origini del Partito Comunista Italiano (PCI) dal quale si è evoluto. Intanto, le recenti consultazioni “primarie” del Partito hanno evidenziato che Bersani non è l’unico leader. Il PD, a ben osservare, si presenta come un partito dei giovani che sembrano avere “in pectore” figure differenti dall’attuale classe dirigente. La strategia politica che il PD andrà a maturare nei prossimi mesi, sarà importante per focalizzare le necessarie alleanze di un’ipotetica maggioranza parlamentare. Per guadagnare posizioni elettorali, il PD ha da evidenziare, da subito, cosa intende attuare per il Paese. Per quest’Italia al lumicino. Il Partito Democratico non è più quello dei “proletari”, né quello dei lavoratori. Intanto perché di proletari non ce ne sono più ed il lavoro si è trasformato in una “chimera” per i più. Il PD ha trovato altrove fonte di proselitismo. Ma non più di tanto. I “compagni” alla Peppone non ci sono più. Anche perché anche la figura di “Don” Camillo si è evoluta. Insomma, cambiando i tempi, anche il PD si è adeguato; non senza qualche sofferenza interna non proprio trascurabile. I “Grandi” del Partito di ieri sono scomparsi o, in ogni caso, non hanno più un ruolo attivo nel partito d’oggi. Il tempo, che è galantuomo, lo ha fatto maturare. Oggi il PD rappresenta una formazione di “sinistra” che tende al “centro” per avere un ruolo attivo nella politica del Paese. Per altro, la squadra di Bersani ha perduto quella struttura granitica che l’aveva caratterizzata ai tempi dello zoccolo duro con le formazioni centriste con tendenze sinistrorse. Oggi, le porte aperte ci sono per tutti. Sempre che si garantisca la credibilità. Lontanissimo dai tempi del “compromesso” che di storico non ha mai avuto nulla, dalle macerie del PCI si è sviluppato un Partito più agile e disponibile ad un dialogo anche se non a livello “alleanza”, almeno sul piano della “cobelligeranza”. A ben osservare, abbiamo rilevato tanta buona volontà e buoni propositi per l’immediato futuro. Certo è che la sensazione non è sufficiente per garantire l’attuazione di un programma capace di traghettare l’Italia dalle secche di una crisi che, forse, era evitabile. Essere Pdiessini oggi è più difficile di ieri. Sia per una corrente pseudo socialista che serpeggia in UE, sia per la mancanza in Patria di un forte antagonista che possa garantire le “differenze”. Nei primi quattro anni di questa Legislatura, il PD è stato all’opposizione. Senza gloria. Dallo scorso novembre è solo uno delle tante formazioni della “non sfiducia” all’Esecutivo Monti. Vedremo, dopo le prossime elezioni, quale ruolo potrà assumere questo Partito che ha voluto investire nel futuro, senza rinnegare, in toto, il suo variegato passato.

Giorgio Brignola

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