Cinema: premi ed uscite

Di Carlo Di Stanislao

La realtà quasi sempre supera la fantasia, anche al cinema e anche ai festival. Così la settima edizione del Festival di Roma ci sorprende (non positivamente), con premi a molti film discutibili, che in comune hanno il fatto (sospetto) di essere stati realizzati con i fondi della regione Lazio, a partire da “E la chiamano estate”, migliore regia (Paolo Franco) e migliore attrice (Isabella Ferrari), riconoscimenti che suonano come uno schiaffo a pubblico e critica.
Siamo d’accordo, ma solo in parte, con il premio per la migliore opera prima ad “Alì dagli occhi azzurri”, ma in totale dissenso anche col premio Prospettive italiane, andato inopinatamente a “Cosimo e Nicole”, di Francesco Amato, che tutti, giustamente, avevano trascurato.
Per fortuna a vincere il Marc’Aurelio D’Oro è stato il film “Marfa Girl” di Larry Clark, mentre “The motel life” dei fratelli Polsky ha ottenuto il premio per la migliore sceneggiatura e quello del pubblico e Jeremie Elkaim ha preso meritatamente la statuetta per la migliore interpretazione maschile, col film “Main dans la main”.
Archiviato nel modo peggiore un festival che di buono ha avuto davvero poco, ci aspetta, invece, una settimana di buoni film al cinema, a partire da un vero e proprio capolavoro: “La sposa promessa”, opera prima della talentuosa (come documentarista) Rama Burshtein, che ci immerge, per 90 intensi minuti, in un mondo (quello dell’ortodossia ebraica) in cui gli individui appaiono schiacciati dalle convenzioni sociali e mossi unicamente dal sentimento religioso e dal senso del dovere.
E dove, almeno all’apparenza, non c’è spazio per coltivare sogni, per dar libero sfogo ai propri sentimenti, per vivere una vita autentica (in uno degli incontri combinati dai genitori con un potenziale fidanzato, alla domanda su che tipo di casa volesse, Shira, la sposa promessa del titolo, risponde che vorrebbe una casa vera, dove non ci fosse spazio per le bugie).
Nella realtà così delineata, nello spazio così delimitato (il film è girato quasi del tutto in interni enfatizzando il senso di oppressione che promana da una struttura sociale dominata dall’alto, scandita dai dettami della Torah e pervasa dall’autorevolezza del rabbino), spesso si agisce per ragioni differenti da quelle che dovrebbero invece guidare il comportamento di ognuno. Nelle scene in cui è narrato il tentativo di combinare il matrimonio tra Shira ed il cognato di lei, Yohai (appena rimasto vedono per la morte improvvisa della moglie Esther), la sposa promessa è spinta, sulle prime, al matrimonio da un forte senso del dovere, oltre che dal dolore dovuto alla mancata realizzazione del suo primo possibile fidanzamento. Sullo sfondo di una ricostruzione documentaristica della tradizione ebraica, con attori davvero bravi (Hadas Yaron è stata premiata, lei meritatamente, con la Coppa Volpi a Venezia) “La sposa promessa” è più di un film di buona fattura, bello esteticamente e interessante dal punto di vista delle scelte registiche; ma anche capace di far riflettere su temi di grande attualità ed importanza (la scelta, la libertà, ecc.).
Da vedere anche “7 psicopatici”, di Martin McDonagh, che racconta in modo molto divertente e con un montaggio al fulmicotone, la storia di Marty (Colin Farrell), uno sceneggiatore alla ricerca di un'idea, con il suo amico Billy (Sam Rockwell) che erca di aiutarlo e con i due che finiscono per rapire il cagnolinino del boss mafioso Charlie Costello (Woody Harrelson).
Film-pulp con un bravissimo Collin Farrell, non è certo all’altezza di “In Bruges”, il precedente film di McDonagh, tuttavia il crescendo sanguinario viene abilmente smorzato da un impianto profondamente grottesco, attraversato da un sarcasmo che prevale e si fa registro unificatore dell’intera pellicola. Il film mette in mostra una luccicante carrellata di star, ognuna con il suo dovuto spazio, con Farrell a sgomitare davanti alle cinecamere, con Rockwell, Walken, Harrelson e Waits, che vengono opportunamente ed intelligentemente suddivisi in compartimenti stagni, con a ognuno il suo ruolo ed il suo “folle” carattere.
In testa alle classifiche già dal primo giorno (il 14 scorso), vi è “Twilight. Breaking Dawn – Parte 2”, con grande dispendio di dollari, facce giovani e belle, una storia senza senso ma fatta per piacere. Il film, che non merita commenti, ha fatto 0,4 milioni in 5 giorni e distanziato sia il bel cartoon “Hotel Transylvania (4,5 milioni in 2 settimane) che, secondo i dati Cinetel, “Venuto al mondo” di Sergio Castellitto, (3,1 in 3 settimane); mentre “Skyfall”, uscito il 31 ottobre, nel week end ha raggiunto l'incasso totale di 11.087.410 Euro, superando così “Ted”, uscito il 4 ottobre, fermo a 11.027.338 Euro.
Nelle sale da pochi giorni anche l’italiano “Vitriol”: buon prodotto, anche se con le sbavature dei film di basso costo, distribuito dalla Smc (Salvatore Mignano comunication), per la regia di Francesco Afro de Falco (al suo primo lungometraggio) e con la sceneggiatura di Giovanni Mazzi, pensato, girato e prodotto tra Napoli e l’area vesuviana, fra simboli esoterici e massonici, alchimia antica e moderna ed una ricerca che si perde in un labirinto di ipotesi.
Il regista fa di tutto per non dividere mai la Napoli ordinaria da quella segreta che si scopre man mano nel film e infatti la quotidianità della città penetra nella scena con i rumori comuni ad ogni metropoli come il traffico, le sirene o le grida dei passanti. È forse un punto che merita molta attenzione, un intento ben studiato da De Falco con il quale intende colpire lo spettatore abituato a una determinata iconografia cinematografica per stuzzicare in lui quella a una prima sensazione può sembrare una stonatura e che si trasforma ben presto in una iniezione di credibilità in grado di dare una forza realistica alla sceneggiatura.
Molto brava (e bella) la protagonista Lola Verdeis: 25 anni e napoletana verace, con un sicuro futuro nel cinema.
Una curiosità per concludere: all'interno del film sono presenti alcune opere scultoree, risultato di diversi stili ed elaborazioni dell'artista Luca Nocerino. Tra queste, la più importante è la riproduzione in scala uno ad uno del “Cristo Velato” di Giuseppe Sanmartino, che è piaciuta molto agli addetti ai lavori.
Italiano ma d’Autore (ritrovato dopo il cattivo esito di “Giallo”) “Dracula 3D” di Dario Argento, in cui la stereoscopia con la magnifica fotografia di Luciano Tovoli costituiscono il valore vero di una pellicola non eccelsa, creando una patina artigianale di grande impatto visivo.
Siamo in Transilvania, nel 1893. La vista di una fotografia innesca la furiosa bramosia del conte Dracula, interpretato da Thomas Kretschmann, che rivede nell'immagine di Mina la reincarnazione della sua amata, morta più di 400 anni prima. Cerca così di ricongiungersi con il suo vecchio amore ma, per farlo, ha bisogno di riportare al castello Dolingen/Mina. La sua missione verrà interrotta dall'arrivo di Abraham Van Helsing (Rutger Hauer), conoscitore del vampirismo e “vecchia conoscenza” del conte. La pecca maggiore è il didascalismo dei dialoghi che, con l'alibi del testo originale come riferimento, ignorano bellamente la conoscenza universale del tema e, laddove non sono di puro servizio, propinano una sorta di sussidiario del vampirismo fuori tempo massimo. Comunque un film da vedere.
Infine, “One Life”, documentario prodotto da Bbc Earth Films e distribuito da Dnc con Qmi, che mira a mostrare, anche nei più piccoli dettagli, la vita degli animali, dagli aspetti più belli e teneri, come amore e cura dei cuccioli, a quelli più duri, visto che ogni giorno sono costretti a lottare per la loro sopravvivenza, con immagini che sicuramente sapranno catturare gli spettatori, come del resto la voce del suo narratore, Mario Biondi. Per realizzarlo ci sono voluti ben quattro anni di lavoro, usando tecniche di ripresa all’avanguardia che hanno permesso di ottenere delle strepitose immagini, che successivamente sono state selezionate da Mike Gunton e Martha Holmes, veterani della documentaristica naturalista.

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