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La rabbia giovane

L’Europa giovane scende in piazza contro l’austerità e in Italia la protesta si fa violenta, con vari episodi di vera guerriglia urbana, a Roma, Napoli, Torino e Milano e con gesti inqualificabili, come quello dei Cobas di Roma, che hanno usato slogan antisemiti nei confronti di studenti elementari di confessione ebraica.
Preoccupa non solo tanta violenza, ma anche chi, come Beppe Grillo, quella violenza la cavalca, ricordando le parole ed il clima dei “cattivi maestri” e degli “anni di piombo” o, addirittura, o addirittura quello della Germania di Weimar, con un processo autodistruttivo di cui poi si sono visti gli effetti a livello planetario.
Già a maggio, in occasione del 160° anniversario della fondazione del corpo di polizia, il capo della stessa, Antonio Manganelli, uomo solitamente misurato e prudente, aveva detto che “la minaccia anarco insurrezionalista è assolutamente da non sottovalutare e tale minaccia, in tempi sempre più di vacche magre e di tagli, si è accresciuta a causa della diffusa rabbia giovanile e popolare.
Sentendo Busi, ieri sera da Lilli Gruber su La7, si capisce che da un lato occorre stare dalla parte dei giovani, ma da l’altro essere allarmati dal crescere di tanta violenza, strumentalmente usata da politici travestiti da comici e da cabarettisti in cerca di consenso.
E mi tornano alla mente le immagine del film di Malick “La rabbia giovane” che, nel lontano 1973, fu scambiato, sbrigativamente, come uno dei tanti epigoni del nuovo sottogenere del naturalismo d’azione d’ambientazione campestre o “on the road”, che all’epoca affollavano le produzioni piccole,medie e più o meno indipendenti nell’ancora corto alveo di quella che nei libri di storia del cinema sarà ricordata con il nome di New Hollywood ed invece rappresentava una profonda analisi, consumata e consapevole, dell’uomo come essere fragile,vuoto e turbato da proiezioni mentali estranee ed incontrollabili che lo condannano a distruggere nell’impossibilità di essere e di creare, ad uccidere nella facile, colpevole falsità di ciò che crede sia amare.
E sebbene io sia contrito, amareggiato per ciò che la mia generazione ha fatto al futuro dei giovani, non posso non allertare gli stessi che scendono in piazza in assetto di guerra, con caschi, spranghe e molotov e che ora, inconsapevolmente, sono marionette mosse da un determinismo oscuro e assolutamente agnostico, minuscole presenze al cospetto del vero attore che dall’ombra escogita e perpetra le sue strategie.
Ieri i ragazzi, in cento piazze italiane , non hanno solo protestato contro i tagli ad una scuola stretta tra le mirabolanti promesse tecnologiche e i soffitti che crollano, tra premi per i più bravi e riduzione delle risorse necessarie perché i meritevoli possano davvero provare di esserlo, nonostante disuguali condizioni di partenza. Hanno dichiarato la loro sfiducia a tutta la classe dirigente, agli adulti che hanno il potere di prendere le decisioni cruciali per il loro destino: governo, partiti politici, sindacati, imprenditori. Derubricare questa protesta come manifestazione adolescenziale senza una vera maturità politica, sarebbe grave e forse pericoloso. Dopo essersi sentiti definire da tutti una generazione perduta, hanno voluto dire che non vogliono fare le vittime sacrificali degli errori altrui.
L’errore, in molti ma non i tutti i casi, è stato il ricorso alla violenza e al vandalismo, non migliore dello spettacolo dato dalla politica, soprattutto in questi ultimi tempi che certo non ha contribuito a disinnescare la miccia della ribellione.
A fronte delle continue esortazioni a portare pazienza, perché non ci sono risorse, alla promessa che la riforma delle pensioni e quella del lavoro sono state fatte per loro, i giovani, è arrivata anche la prova che molti soldi vengono buttati, che chi ha il potere di decidere si tiene stretti i propri privilegi (e qualcuno anche ruba).
Ma guai a credere che questo stato di cose possa essere cambiato con la violenza e l’insurrezione armata.

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