Dall’ enciclopedia web (più avanti riporto anarcopedia…) si può apprendere che “Il subcomandante Marcos, anche subcomandanteinsurgente Marcos (19 giugno 1957), è un rivoluzionario messicano, portavoce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: “…C’è una parola che viene dall’origine stessa dell’umanità, e che segna e definisce le lotte degli uomini e delle donne di tutti gli angoli del pianeta. Questa parola è libertà.”
All’interno del EZLN esistono, secondo una stima approssimativa, 76 comandanti, ma un solo subcomandante. Questo perché i comandanti hanno un mandato affidato loro dalle assemblee popolari e in qualsiasi momento il loro titolo potrebbe essere revocato; il subcomandante invece comanda l’esercito e per questo motivo si trova in una posizione gerarchica più alta nonostante l’appellativo subcomandante suggerisca il contrario. Il prefisso “sub” è riconducibile al fatto che egli è al di sotto del popolo, considerato la massima autorità. In pubblico si presenta sempre con passamontagna, inoltre porta generalmente un fazzoletto rosso legato al collo ed una pipa in bocca. È identificabile rispetto agli altri comandanti zapatisti da questi due elementi. Il bastone con il quale talvolta appare è il bastone del comando della milizia dell’EZLN, affidatogli dai comandanti. Attualmente vive in clandestinità con la milizia, sulle montagne del Chiapas…”
Mi assale tanta tristezza come quando si ama e non c’è più vicino la persona amata…
Doriana Goracci
L’INCONTRO Bertinotti, visita al subcomandante Marcos: Scenografia perfetta, foto e libro con dedica DAL NOSTRO INVIATO LA REALIDAD (Chiapas) – L’attesa comincia a farsi pesante. Sono quasi otto ore che Fausto Bertinotti e la delegazione di Rifondazione aspettano. Di colpo il villaggio della Realidad si ferma. “Sta arrivando il subcomandante Marcos”. Spunta dal nulla, accompagnato dai fedelissimi maggiore Moises e comandante Tacho, e due luogotenenti, uno dei quali sfoggia una T – shirt con la rockstar Sting. I bambini corrono ad accogliere il loro eroe. La scenografia è perfetta. Il subcomandante attraversa un ruscello, lascia che il cavallo si abbeveri, poi sfila per fotografi e telecamere. L’inseparabile pipa in bocca, M16 in spalla, revolver nella fondina. A questo punto Marcos scende da cavallo, si dirige dal segretario di Rifondazione e gli porge un dono: il capolavoro di Cervantes, “Don Chisciotte”. Un’edizione economica stampata a Madrid nel 1973. Sul frontespizio una dedica singolare: “Questo libro è un manuale di politica moderna molto utile nella lotta per l’umanita’ e contro il neoliberismo. Dal Subcomandante Marcos a Fausto Bertinotti”. Comincia cosi’, con questo scambio (al “Sub” e’ stata regalata una bandiera di Rifondazione) la visita del segretario di Prc all’uomo che con molta abilita’ ha portato il caso del Chiapas alla ribalta mondiale. A conclusione dell’incontro Bertinotti ha ufficialmente invitato Marcos a venire in visita in Italia: “Se mi lasciano, ci verrò. Speriamo, comunque, che almeno una nostra delegazione possa accettare questo invito entro l’anno”, ha detto Marcos, il quale poi, scherzando ha aggiunto: “Scambiamoci le informazioni, vorrei sapere qualcosa di più sul continente che conquisteremo”. Un invito che senz’altro farà discutere. Per il significato provocatorio dell’iniziativa. E che si andrà ad aggiungere al polverone sollevato, in Italia, sulla legittimità della lotta armata. Il “Marcos Day” era comincito poco dopo mezzanotte. Da San Cristobal per raggiungere La Realidad, ai margini della Selva, dove Marcos e i suoi si nascondono, occorrono circa 6 ore in jeep, per meta’ su strada sterrata. La Realidad e’ un centro di appena 700 indios, di cui 350 bambini. Un villaggio poverissimo, baracche in legno, niente luce. Tutto diviso in zone. Spazi per la comunità, per la stampa, per gli osservatori, per le assemblee. L’eroe è Marcos. Quasi ogni giorno, qui, sfilano i blindati dell’esercito, ma non possono fermarsi, filmano la popolazione e gli osservatori internazionali, a loro volta, filmano la colonna per assicurarsi che non vengano commesse irregolarità. Dal ’94 giovani di tutto il mondo danno vita a un’interminabile staffetta, molti vengono senza “permessi” e se individuati sono rispediti a casa. E’ successo a un ragazzo di Pesaro fermato dai militari: saràcostretto a lasciare il Messico. L’incontro tra il Subcomandante Marcos e Bertinotti – accompagnato da Ramon Mantovani, Gennaro Migliore e Alfio Nicotra – e’ durato oltre due ore. Poi i due si sono concessi ai cronisti. “Siamo venuti a portare la nostra solidarieta’ agli indios e alla loro straordinaria esperienza di lotta”, ha detto Bertinotti, primo segretario di partito a fare visita al “Sub”. Sulla lotta armata dell’Ezln (l’esercito zapatista), Bertinotti ha ribadito: “Non siamo noi che dobbiamo dire se è giusta, ma siamo rispettosi per le scelte che ogni movimento fa”. Ha poi ribadito l’invito in Italia a Marcos, “un uomo che non è nè riformista, nè rivoluzionario, ma va oltre: è già nel terzo millennio”. Il volto nascosto dal suo passamontagna, i fori che lasciano intravedere la barba, Marcos ha parlato con autorità: “Lottiamo per la nostra sopravvivenza, e guardiamo con preoccupazione alla globalizzazione che annienta tanti Paesi. Anche l’Europa, travolta dal modello americano. I nemici degli indios restano i grandi proprietari terrieri, che con strutture preistoriche esercitano ancora la schiavitu’ sui campesinos. Complice il governo. Del Chiapas attirano le grandi risorse e per sfruttarle farebbero qualsiasi cosa. Oggi per gli indios c’eè più attenzione. Ma non è ancora il momento di deporre le armi”. Fa intendere di temere un intervento Usa. “Per la pace vera attendiamo il riconoscimento dei diritti degli indigeni. Istruzione, alimentazione, salute. E poi la tutela di chi si è ribellato”. Altrimenti vivremo sempre una pace armata. “Un popolo deve sempre trovare la forza di ribellarsi e coltivare la speranza di vincere”. Messaggi che piacciono ai giovani: in Argentina un discorso di Marcos e’ diventato un disco rap. Titolo: “Uniti per il Chiapas”. Alla voce del subcomandante è stata aggiunta un base musicale jazzata.
l Subcomandante Marcos (in spagnolo: Subcomandante Insurgente Marcos), chiamato anche il “Delegato Zero”, è lo pseudonimo dietro il quale si cela il portavoce (vocero) dell’EZLN. Secondo il governo messicano, dietro il passamontagna che cela il volto del Subcomandante si nasconderebbe un laureato in filosofia ed ex-ricercatore dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM): Rafael Sebastián Guillén Vicente (nato a Tampico, Messico, il 19 giugno 1957). Marcos ha tuttavia sempre negato di essere Rafael Guillén. Del Subcomandante Marcos non si sa granché: si sa che cela il suo viso dietro il celeberrimo passamontagna, si sa che è un abile comunicatore, si sa che ha contribuito in prima persona alla riscoperta della questione indigena del Messico e si sa che è il portavoce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Il resto è lui stesso a raccontarlo: «Lo Stato in cui sono nato confina con il Rio Bravo a nord e il Rio Suchiate a sud; e con l’oceano Atlantico a est e l’oceano Pacifico a ovest. Ho studiato in qualche università di questo paese, non a Oxford, all’estero, anche se adesso è molto di moda studiare da quelle parti. Ho studiato in un’università messicana, sono arrivato in fondo, il che è già molto, mi sono laureato, ho fatto un corso di specializzazione (non so come si chiamino adesso, ma quando ero giovane si chiamavano corsi di specializzazione), e sono stato felice per qualche tempo, finché non mi sono ubriacato, ho preso l’autobus sbagliato e sono finito nella Selva Lacandona. Quando me ne sono reso conto, ormai ero lì, e non ne potevo uscire; questo è successo undici anni fa. Ed eccomi qui, ancora una volta. Non posso dire di più, ma possiamo sempre chiedere alla Procura Generale della Repubblica, magari è riuscita a mettere insieme maggiori informazioni. Comunque sono un messicano qualsiasi […]sono come qualsiasi compagno di quelli che stanno qui. Forse in questo momento si è fatto troppo leva sulla mia immagine perché sono l’unico che parla castigliano, ma il mio compito non consiste nel comando assoluto. E quando dicono: “Marcos è il capo”, non è vero, i capi sono loro. Io ho assunto un livello di dirigenza che riguarda soprattutto le questioni militari. Loro mi hanno detto di parlare, perché so parlare in spagnolo. I compagni parlano attraverso di me. Sono loro che dirigono, sono loro che pongono limiti e confini: ”Questo lo puoi dire e questo non lo puoi dire, qui puoi sbilanciarti e qui no”. Sono loro i miei capi e io ho il dovere di obbedire, loro decidono entro che limiti. Non c’è niente di straordinario in me che gli altri non abbiano, siamo tutti mossi dallo stesso desiderio di un paese giusto, diverso.» (Io, Marcos. Il nuovo Zapata racconta, Marta Duràn de Huerta, Feltrinelli) Dopo la sollevazione popolare del 1994, Marcos ebbe a dire che l’EZLN «non è marxista» e in varie interviste si è dichiarato «più influenzato dall’intellettuale messicano Carlos Monsiváis che da Karl Marx» Oltre che a Emiliano Zapata, ha dichiarato grande ammirazione per il rivoluzionario argentino Ernesto Che Guevara. In molte occasioni istituzionali (per es. elezioni politiche e amministrative) si è schierato apertamente per l’astensionismo, manifestando pubblicamente la sua sfiducia per i partiti politici e per le istituzioni. Il Subcomandante ha dichiarato più volte che l’EZLN non è un partito che vuole conquistare il potere ma è un’organizzazione che intende mettere in discussione le strutture socio-politiche del Messico, per cercare di cambiarle in una direzione maggiormente popolare e libertaria. Le parole dello stesso Marcos d’altronde non lasciano dubbi sulle sue idee antiparlamentariste: «Perché vogliono farci diventare un partito politico se noi non vogliamo il potere? Non riescono a capire che un movimento politico possa non essere interessato al potere politico? Ci sono già abbastanza partiti politici. Perché dovremmo aggiungerne un altro? Non vogliamo. Noi non stiamo promuovendo niente. Noi non chiediamo il governo. Noi vogliamo abbattere il governo. Noi vogliamo vivere in pace, in democrazia, libertà e giustizia». Il Subcomandante Marcos ha sempre dedicato particolare attenzione alla comunicazione con il resto del mondo; in questo modo ha impedito che la questione zapatista venisse emarginata come una questione meramente messicana. Per questo Marcos è stato uno dei primi ad attribuire una grande importanza alla tecnologia in genere, e ad Internet in particolare, strumento grazie al quale gli è stato possibile diffondere i comunicati dell’EZLN. Proprio nell’ottica internazionalista e comunicativa, che lo ha sempre contraddistinto, il 12 ottobre 2002 una sua lettera indirizzata a Ángel Luis Lara (alias el Ruso), nella quale definì “un pagliaccio grottesco” il giudice spagnolo Baltasar Garzón, per aver ritenuto infondate le accuse contro il tiranno Pinochet, riguardo a possibili violazioni dei diritti umani contro cittadini spagnoli, scatenò, sui media nazionali e internazionali, un polemico botta e risposta con il giudice spagnolo. Marcos è inoltre un fine scrittore: oltre ai comunicati indirizzati sempre a tutti i popoli del mondo, è l’inventore letterario di due personaggi: il vecchio Antonio e Don Durito della Lacandona. Il primo simboleggia il lato indigeno della sua cultura, il secondo è invece l’espressione della cultura occidentale, uno scarafaggio che pensa di essere una sorta di Don Chisciotte e per questo tratta lo stesso Marcos come fosse il suo scudiero.Il vocero ha recentemente instaurato stretti rapporti letterari con numerosi scrittori sudamericani, tra i quali Paco Ignacio Taibo II e Manuel Vázquez Montalbán.
A 15 anni dalla nascita dell’EZLN: intervista di Ricardo Rocha al Subcomandante Marcos. I temi trattati sono le prime fasi della costruzione dell’ezln, il meccanismo decisionale diviso tra comando politoco e militare, il problema dello scontro culturale tra la vecchia organizzazione politico militare e le comunità indigene. (Per i sottotitoli in italiano spingere cc in basso al player.)
S.M.: Si pero noi abbiamo esposto chiaramente perché siamo insorti con le armi dalla prima dichiarazione della Selva Lacandona. Noi lo abbiamo messo in chiaro e cosi comincia la prima dichiarazione: siamo il prodotto di 500 anni di sfruttamento. Questo paese ha deciso un progetto futuro, un modello economico, sociale, politico e neoliberale che necessita di sacrificare 10 milioni di messicani: la popolazione indigena. Questi 10 milioni di messicani non avevano altre possibilità per farsi ascoltare, non avevano altre opzioni per mostrarsi che occultandosi la faccia. Da quando hanno nascosto i propri volti questo paese ed i suoi governanti, ed anche i mezzi di comunicazione, ricominciarono a vederli e videro gli indigeni in un altro modo, non come uno spot turistico o come un prodotto d’artigianato o nel peggiore dei casi come un passato vergognoso.
R.R.: Lei ha detto che hanno visto gli indigeni pero hanno visto anche lei chi è Marcos? Perché è qui? Perché un meticcio un bianco dirige un movimento indigeno?
S.M.: Ora sono mezzo pallido pero mi piace il sole. La versione ufficiale o la reale? la reale è che mi sono perso io viaggiavo molto e cosi sono finito nella Selva Lacandona e mi sono perso come mai prima. Li c’è Tacho che non vuole uscire nel programma perché sa che nel programma passato ha già pagato il suo delitto ed ora tocca a me. Quello che è successo è ciò che abbiamo spiegato. Noi durante la nostra gioventù… ad ogni modo il tempo passa, che vogliamo fare! Avevamo un progetto politico. Uno sempre se ha un livello minimo di onestà pensa che le cose possano andare meglio e che qualcosa deve fare per essere migliore. Noi siamo arrivati con un progetto, un’idea: cambieremo il mondo e lo cambieremo per mezzo delle armi; ed è un assurdo che si possa imporre un’idea con l’argomento delle armi e abbiamo fatto il nostro primo combattimento e lo abbiamo perso, fortunatamente, lo abbiamo perso il nostro primo combattimento. Fu con la concezione degli indigeni.
R.R.: Perché? Spiegamelo che non lo capisco.
S.M.: E’ che noi siamo arrivati con proposte politiche quadrate da fuori, vuol dire che il problema del politico professionista è che non capisce l’altro, il differente. In questo caso le comunità indigene hanno un altro modo di fare politica e un’altra maniera per vedere la propria vita, la propria vita politica e ciò con cui ha a che fare. Sicché proposte organizzative rigide non tardarono ad andare in conflitto con proposte più aperte. La vita in comunità è molto aperta, molto vicina, non dico che sia buona o che sia meglio della vita urbana, pero le unioni sono molte, tutto si sa, tutto si racconta allora devi essere più sincero. In una certa maniera questo genera una forma di fare politica che si scontra con i progetti di un’organizzazione politico-militare come eravamo noi.
R.R.: Quanto tempo durò questo apprendimento? Quanto tempo è durata la gestazione dell’EZLN? Quali le più importanti difficoltà?
S.M.: Il problema principale fu lo scontro culturale. Noi siamo arrivati con concezioni urbane occidentali, come dicono ora, e ci siamo dovuti confrontare con il problema del linguaggio. La lingua e il problema della cultura. Il nostro primo intento fu quello di provare a tradurre questa concezione politica che avevamo del mondo. Noi diciamo una concezione molto quadrata, provare a tradurla nel mondo indigeno e quello che è successo fu che non siamo riusciti a tradurla perché quando i compagni indigeni ricevevano questa la trasformavano, la rendevano un cerchio e la completavano in aspetti che noi non potevamo immaginare; da li l’EZLN non nasce propriamente 15 anni fa il 17 di novembre o quando arrivarono i primi compagni, l’EZLN nasce come tale quando le comunità l’afferrano e lo modellano com’è ora. R.R.: Pero quanto è indigena l’EZLN se lei continua ad essere il leader di questo movimento? Chi lo comanda veramente?
S.M.: In termini politici lo comandano i capi delle comunità indigene, quello che è il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, e dal punto di vista militare lo guida un comando militare in questo caso il comando militare è Marcos. Nel caso del comando politico organizzativo è il Comitato. Che vuol dire questo? Che Marcos non può prendere iniziative o decisioni da solo, ne dire al Comitato che deve fare, ma è il Comitato che deve tracciare la rotta. Questo Comitato è agganciato è fissato alle comunità, non può prendere, perché sono eletti democraticamente, non possono prendere decisioni contro le comunità sovradeterminandoli negli accordi perchè la comunità li revocherebbe li leverebbe. Questo fa si che il processo di presa di decisioni nell’EZLN sia molto lento, pero molto solido. Quando l’EZLN lancia un’iniziativa è perché già ha il sostegno della sua gente e può scommetterci su questo per quanto è sicuro.
★ Subcomandante Marcos ★ Senza passamontagna
Il Subcomandante Insurgente Marcos mostra il volto che sta realmente dietro il passamontagna che ha caratterizzato il movimento Zapatista EZLN.