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Premi a Sulmona e riflessioni sullo sgarbismo

Di Carlo Di Stanislao

Dopo quelli per il giornalismo, assegnati domenica scorsa a Roberto Napoletano direttore del Sole 24 Ore e a Gennaro Sangiuliano vice-direttore del Tg1, a cui sono andate le Targhe D’Argento 2012, consegnate nel corso di una manifestazione presentata da Daniela Miniucchi e Franca Minnucci ed organizzata dal Circolo di arte e cultura “Il Quadrivio”, con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati, della Regione Abruzzo e della Provincia dell'Aquila; si è appreso ieri il nome dei vincitori del “Premio Sulmona” – Rassegna internazionale di arte contemporanea”, evento organizzato da Gaetano Pallozzo, con giuria composta dai critici e storici d’arte Carlo Fabrizio Carli, Toti Carpentieri, Giorgio Di Genova, Giorgio Seveso, Chiara Strozzieri, Duccio Trombadori e presieduta da Vittorio Sgarbi.
Le Medaglie del Presidente della Repubblica, saranno consegnate oggi alle ore 17, al Polo Museale Civico Diocesano della cittadina peligna, in occasione della cerimonia di chiusura di questa 39° edizione a cui hanno preso parte 115 artisti provenienti da 30 diverse nazioni.
Vincitore Empedocle Amato di Roma, a cui è andrà la Medaglia d’Oro del Presidente per l’opera “Stazione di notte “, uno splendido olio su tela del 2007.
Secondo classificato e, pertanto, Medaglia del Presidente del Senato, per Pino Di Gennaro di Milano con l’opera “Vento cosmico” sempre del 2007.
Al terzo posto (Medaglia del Presidente della Camera) l’artista iraniano Nader Khaleghpour con l’opera “Parole d’acqua”, del 2009, mentre il premio riservato agli artisti emergenti (Targa d’argento Città di Sulmona) è stato assegnato a Ezio Bastianelli di Roma, con l’opera “Il vento”, del 2001.
La rassegna, coronata da ampio successo mediatico e di pubblico, ha confermato il ruolo centrale assunto nel panorama dell'arte moderna e contemporanea italiana.
Notevole l’impegno profuso da Vittorio Sgarbi, molto presente nella nostra Regione, che si è adoperato, con gli altri membri della giuria, per una selezione di artisti e di opere meritevoli di attenzione.
Anche in questa occasione è comunque emerso il carattere sanguigno e battagliero del critico, anche se in forma più contenuta rispetto a quanto espresso a luglio a Polignano a Mare, in provincia di Bari, durante la presentazione del suo libro 'L'Italia delle Meraviglie', nell'ambito della rassegna 'Il Libro Possibile', quando è stato apostrofato dal pubblico con epiteti coloriti come “ubriacone, drogato, cafone, spacciatore” ed è stato costretto ad allontanarsi scortato dalla Polizia.
Il 10 settembre poi, un’altra incresciosa vicenda lo ha visto involontario protagonista, quando Oliviero Toscani, a La Zanzara su Radio24, lo ha definito “impotente”, ha “pulsioni omosessuali” ed è “cocainomane”.
Il 18 settembre, sui blog, Sgarbi ha paragonato Grillo a Gheddafi e, infine, il 19 scorso, a proposito delle trattative ipotetiche fra Stato e mafia, Sgarbi ha polemicamente dichiarato che non vi è stato nessun accordo in tal senso e che i fatti ci dicono che :” “Hanno tolto il 41-bis a quattro pezzenti, questa non è una trattativa ma semplicemente un abuso dei magistrati che inventano i reati per assumere un ruolo di grandi combattenti della mafia che non c’era a quei tempi e non c’è”.
C’è un termine nel nuovo lessico italiano, riconosciuto anche dai vocabolari: sgrabismo, sinonimo di turpiloquio prepotente ed aggressivo e emblema di una televisione volgare che ha rinunciato alla sua originaria funzione pedagogica e di strumento di promozione culturale, puntando piuttosto a riflettere la realtà linguistica circostante con il potere amplificante di un grande ripetitore.
Un tipo di televisione gridata ed ignobile che ben descrive Moretti in “Sogni d’oro”, con capostipite il funariano “Aboccaperta”.
Sicché se vespismo e fedismo sono termini in cerca ancora di una origine (probabilmente antica, rispetto a chi si fa ancella del potere), ciò che caratterizza lo Sgarbi peggiore è la realizzazione di un archetipo anni ottanta: il funarismo (coniazione di Aldo Grasso: “Corriere della sera”, 10 novembre 1991), che, attraverso grida e parolacce, dà legittimità al senso comune dei ragionamenti da bar, alle trivialità di cui si nutre l’egoismo e l’individualismo atavico presente in tutti i men in the street, spacciando immondizia e senso comune in cultura.
Lo sgarbismo in definitiva funzziona così: si dà della stronza a un’innocua professoressa col pallino della poesia, portandola quasi alle lacrime (nel 1987 al Maurizio Costanzo Show); si auspica in diretta la morte a un illustre critico d’arte (“Io odio Federico Zeri e desidero la sua morte”: sempre al Costanzo Show nel 1989); si getta un bicchiere d’acqua in faccia a un collega (Roberto D’Agostino) per poi essere presi a schiaffi da quest’ultimo (nel ’91 durante una puntata de L’istruttoria condotto da Giuliano Ferrara); ci si rivolge a uno scomodo giornalista (il documentato e impassibile Marco Travaglio) dandogli ripetutamente del pezzo di merda, ma non solo («sei un pezzo di merda, pezzo di merda puro»: durante la puntata del 1° maggio 2008 di Annozero, condotta da Michele Santoro).
Ciò fatto si aspetta la reazione indignata della stampa, che immancabilmente arriva facendo la fortuna dell’offensivo stratega. Questa operazione consente facilmente, per esempio, di passare da un modesto stipendio da ricercatore universitario a quello ben più cospicuo del parlamentare, per giunta enormemente arrotondato dai gettoni di presenza per apparizioni televisive e serate varie.
E non è vero che ora lo sgarbismo non funziona, è stato solo superato in peggio, con l’insulto, l’ingiuria, la parolaccia, che sono ormai definitivamente passati dalla sfera del privato a quella del pubblico.
Qualche anno fa la società di indagini Eta Meta Research ha condotto un monitoraggio delle reti nazionali per individuare ogni quanti minuti, mediamente, viene pronunciata una parolaccia o un’espressione volgare in tv (cfr. “Corriere della sera” e “La Repubblic”» del 2 novembre 2003). Risulta che, nelle trasmissioni televisive italiane, l’indecenza ricorre ogni 21 minuti, ore notturne e fasce protette comprese. Contestualmente si sono intervistati 130 esperti tra psicologi, linguisti e pubblicitari, chiedendo loro un’interpretazione del dato statistico. La maggior parte di essi ritiene che i programmi più pericolosi in fatto di volgarità siano quelli di intrattenimento legati all’attualità e al costume (ovviamente, direi). Preoccupa soprattutto la giuliva connivenza dello spettatore nell’accogliere le parolacce; una complicità – ricercata dai programmisti – che contribuisce non poco a sdoganare il linguaggio osceno e a favorirne la normale assunzione nel linguaggio comune, specie se i fiori d’eloquenza sbocciano da personaggi famosi che vengono presi a modello. Ma è soprattutto interessante che il 73% degli intervistati pensa che questo abuso di volgarità non sia tanto uno “specchio dei tempi” quanto una scelta ragionata dei responsabili dei programmi, fatta col deliberato obiettivo di alzare l’ascolto. E le cose in quasi dieci anni sono peggiorate con la nascita di qualcosa di peggio: l’antilinguaggio dei reality show: a terza ed esiziale ondate di neotelevisione (dopo il talk show e il contenitore-cornice tipo Domenica in), divenuta vera e propria “enciclopedia della volgarità”, con i vari cloni prodotti (L’isola dei famosi, La fattoria, ecc.), hanno il solo proposito di titillare la curiosità morbosa del telespettatore, facendo perno sulla pubblicizzazione dell’intimità e sull’infrazione dell’interdetto, di ciò che davanti a tutti non si dovrebbe dire (o fare).
L’esempio più illustre ed esemplare resta il Grande Fratello, dove si scelgono protagonisti discinti e disinibiti e si collocano in una situazione che di per sé favorisce l’espressione di contenuti di tipo sessuale e scatologico: quella del gruppo costretto in ambienti chiusi (si pensi alle scolaresche e alle caserme). I
n una tale consorteria iniziatica vige la legge per cui, chi non usi abbondantemente di quel linguaggio (e non tenga contemporaneamente un determinato contegno e non rispetti dati valori), non ne fa ancora parte di diritto e solo quando vi si conforma è veramente “uno dei loro”.
Va infine detto che questa tv figlia dello sgarbismo e nipote del funarismo, spaccia per reali modalità espressive espressioni che al parlato spontaneo fanno solo il verso, assolutizzando unicamente la fascia dei registri e dei livelli più bassi, creando un iperrealismo che di fatto ha piegato a scopi sensazionalistici lo specchio delle lingue, del parlato teleschermico, facendone uno specchio deformante.
Dopo solo due puntate. Nel 2011, “ci tocca anche Sgarbi” chiuse per basso livello di share. Pensammo ad un riscatto dello spettatore che invece, nel frattempo, era solo peggiorato.

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