di Carmelo Dini
Il mio articolo “Joseph Ratzinger, papa rivoluzionario secondo Antonio Socci”, in cui prendevo garbatamente in giro Antonio Socci, ha dato fastidio a qualcuno. Così, in questo, starò molto attento a non prendermi gioco del bravo giornalista il cui unico difetto, a mio parere, è d’essere troppo ingenuo. Ma l’ingenuità non è una colpa. Su Libero del 12 settembre, è apparso un articolo di Socci, dal titolo: “L’arcivescovo amico degli atei. Il silenzio pietoso della Chiesa sui limiti del cardinal Martini”. Per le pecore che stanno ordinate nel gregge, la pecora che se ne allontana ha dei limiti, per la pecora che se ne allontana, i limiti li hanno le pecore che stanno ordinate nel gregge. E’ questione di punti di vista. Il bravo giornalista scrive: “Il medico che curava Martini, dopo la morte ha subito spiegato che egli, affetto da Parkinson da quest’estate «non è più stato in grado di deglutire nulla» e «non ha voluto alcun altro ausilio: né la Peg, il tubicino per l’alimentazione artificiale… né il sondino naso-gastrico. E’ rimasto lucido fino alle ultime ore e ha rifiutato tutto ciò che ritiene accanimento terapeutico». Dunque è accanimento o accudimento?”. Gentile, giornalista, ma è questo il problema? Non sarà invece un problema di libertà? Chi dovrebbe giudicare se sia giusto, essendo affetto da un male incurabile, ed essendo vicini alla morte, prolungare inutilmente le proprie sofferenze grazie ad un tubicino nello stomaco, se non il malato? Il giornalista riporta le parole di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire: “«Sono tra coloro che giudicano questo gesto di cura e di amore del nutrire semplicemente l’esercizio di un dovere di umanità e di solidarietà»”. La nutrizione artificiale, però, imposta contro la volontà (anche presunta) del malato, diventa violenza, e la violenza non si concilia con l’amore. Non è accanimento terapeutico? Allora chiamiamolo accudimento coatto. Se non è zuppa è pan bagnato.
Più avanti il giornalista scrive: “Martini sale in cattedra e dice a tutti, a partire dal Papa, cosa devono fare: «La Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi»”. Ma erano ordini, quelli del cardinale, oppure evangelici fraterni consigli? E chi, meglio di un vescovo è adatto a correggere un altro vescovo? Del resto, credo sia lecito ritenere che la Chiesa di oggi possa commettere errori. Ne ha commessi nel passato per suo stesso riconoscimento. Bisognerà aspettare qualche secolo perché riconosca quelli attuali? Ancora avanti nell’articolo, Socci rimprovera a Carlo Maria Martini di non aver osservato la regola prescritta da Sant’Ignazio di Loyola: ”«Deposto ogni giudizio dobbiamo tenere l'animo disposto e pronto per obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica… Dobbiamo essere più pronti ad approvare e lodare tanto le disposizioni e raccomandazioni quanto i comportamenti dei nostri superiori». Ognuno può vedere cosa rimane di queste regole… “.
Immagino Antonio Socci, indietro nel tempo, tra la folla a Piazza Campo de’ Fiori, a Roma. Un uomo con la lingua serrata in una morsa perché non possa parlare, viene denudato, legato a un palo e arso vivo. Un amico sussurra all’orecchio di Socci: “Come possono fare questo coloro che credono in Cristo?”. E Socci: “Deposto ogni giudizio… “.