Un’organizzazione umanitaria interviene per portare soccorso alle vittime dei conflitti. Intersos lo sta facendo in molte aree di crisi e, ora, in Giordania, nel campo di Za’atri che, a pochi chilometri dal confine, accoglie i rifugiati siriani che chiedono riparo e protezione. Ogni volta, la domanda che ci poniamo è la stessa: come poteva essere evitato l’irreparabile? Come potevano essere evitati, per rimanere alla Siria, i 25 mila morti, i 200 mila rifugiati nei paesi vicini e il milione e mezzo di sfollati interni? E come riuscire a far tacere le armi ed evitare che questa tragica realtà continui ad aggravarsi, come sta invece avvenendo?
Sicuramente Bashar al-Assad ha perso tutte le possibili occasioni, dai primi mesi del 2011, per rispondere alle vitali rivendicazioni espresse da un numero sempre crescente di siriani. Se l’avesse fatto, avrebbe potuto evitare massacri, sofferenze, distruzioni, contrapposizioni che graveranno ora sull’incerto futuro della Siria e della regione. La cecità e chiusura politica del regime hanno portato alla ribellione, fino alla drammaticità attuale.
In Siria, la “primavera araba” avrebbe forse potuto svilupparsi. Nella prima metà del 2011, infatti, Assad godeva ancora di popolarità, nonostante gli errori e gli eccessi del regime, e molti dei dimostranti gli chiedevano, dandogli credito, riforme politiche e sociali. Sembrava essere anche il momento opportuno per un’iniziativa politica e diplomatica internazionale: l’avvio di un dialogo convinto, anche se difficile, avrebbe potuto, meglio dei facili anatemi, contribuire a sostenere e rafforzare, col negoziato, le rivendicazioni dei siriani. La comunità internazionale è stata invece a lungo inerte, in parte impegnata nella sponda sud del Mediterraneo. Alcuni paesi, tra cui forse anche il nostro, pur nella fedeltà alle alleanze internazionali, avrebbero potuto assumere un prezioso ruolo politico-negoziale. Non è stato fatto o lo è stato debolmente.
E’ così che sono spesso affrontate le crisi più difficili: esercitando limitate capacità di iniziativa diplomatica e negoziazione politica, intervenendo talvolta troppo tardi, sottovalutando compromessi possibili; dissimulando poi tale inadeguatezza dietro a motivazioni, vere o presunte, che portano sovente all’opzione armata. E’ la sconfitta della politica. Si cercherà di confondere l’opinione pubblica enfatizzando termini quali “dovere di proteggere” o perfino “guerra per motivi umanitari”, celando le interessate ragioni geopolitiche e geostrategiche che in realtà portano a tale decisione.
Il dramma si consuma soprattutto a danno delle popolazioni civili inermi: in fuga, alla ricerca di protezione e di aiuto, ferite nel corpo e nella propria dignità umana, private dei propri beni e talvolta dei propri cari, barbaramente uccisi. Sono persone che avrebbero preferito essere “protette” molto prima, da un’incessante azione negoziale internazionale alla ricerca di soluzioni politiche, e non solo ora, in mezzo al deserto, avvilite e profondamente ferite, sotto tende di rifugio.
Ad esse e a quelle bisognose all’interno del paese occorre far giungere l’aiuto internazionale, con generosità e senza faziosità e strumentalizzazioni politiche, adesso e anche quando i riflettori dei media si spegneranno. Così stanno intervenendo varie organizzazioni della società civile italiana: in Siria e nei siti dei rifugiati in Giordania, Turchia, Libano, Iraq. La loro presenza è riconosciuta e apprezzata, grazie anche al ruolo indipendente ed all’azione umanitaria che assicura l’indispensabile neutralità e imparzialità verso tutte le vittime della crisi.
Il ministro degli Affari esteri, Giulio Terzi, si è espresso più volte sulla crisi siriana, fino alla sua netta presa di posizione pubblicata il 23 agosto scorso. Alcuni punti andrebbero però, a nostro avviso, meglio approfonditi e chiariti. Ne evidenziamo alcuni.
1. Perché si è lasciato che la Siria arrivasse a questo punto di tensione e non è invece stato favorito un risoluto dialogo politico-diplomatico quando ancora era possibile nel 2011? Perché non sono state adeguatamente valorizzate, da subito, significative realtà interne al paese, non violente e non confessionali, che avrebbero potuto sostenere tale dialogo? Perché l’Italia e i paesi alleati hanno manifestato disinteresse, al di là dei comunicati ufficiali, sui tentativi di mediazione ONU-Lega Araba? E’ stato, infine, adeguatamente valutato, nella preparazione del dopo Assad, il rischio di una “libanizzazione” del paese, con radicali divisioni, guerra diffusa e vendette trasversali, e quello di una possibile estensione regionale del conflitto?
2. La “responsabilità di proteggere” degli Stati ha nascosto spesso obiettivi che in realtà riguardano il proprio posizionamento e la valutazione dei propri interessi politici e strategici. Al di là delle espressioni di solidarietà, quali sono e con quali criteri sono definiti gli interventi che il Governo italiano sta mettendo in atto per aiutare i civili, all’interno e all’esterno del paese, e quanto i fondamentali principi umanitari di neutralità e imparzialità saranno garantiti e applicati, come richiesto anche dalla gravità e drammaticità della situazione che coinvolge ormai tutti, indipendentemente dalle scelte politiche o dall’appartenenza religiosa o etnica?
3. A parte quella militare, suggerita da alcuni paesi del gruppo degli “amici della Siria” che già hanno fornito armi e consiglieri militari, quali opzioni l’Italia sta favorendo, con un proprio ruolo politico che sappia proporre agli alleati europei e internazionali iniziative atte a contenere la drammaticità del “punto di svolta a cui la crisi è giunta”?
Sono interrogativi che indirizziamo al Ministro Terzi e a coloro che pensano che ciò che sta succedendo in Siria ci riguardi da vicino. Anche in Italia, su questioni così rilevanti, il dialogo e l’approfondimento tra istituzioni e soggetti interessati, a partire da quelli direttamente coinvolti come le organizzazioni umanitarie, sono il migliore strumento – finché le condizioni lo permettono – per individuare percorsi di pace e di vera ed efficace azione umanitaria.
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