Il Decreto del Ministero della Giustizia n. 140 del 20.07.2012, pubblicato sulla G.U. del 22.08.2012, ha stabilito le nuove modalità per la liquidazione dei compensi professionali, sostituendo le vecchie tariffe professionali. Nemmeno a dirlo, tali modalità, soprattutto con riferimento alla determinazione dei compensi, sono estremamente penalizzanti e mortificano la professionalità degli Avvocati.
Tutto ciò avrà conseguenze pesanti anche per la nostra Cassa Forense, che, peraltro, proprio in questi giorni sta affrontando la grave problematica concernente la “ sostenibilità ai 50 anni” richiesta alle casse private dal decreto “ Salva- Italia” ( legge 148/2011).
Infatti, non c’è dubbio che nei prossimi anni gli Avvocati, sia per la riduzione dei compensi prevista dal richiamato Decreto Ministeriale, sia per la grave crisi economica in atto, avranno un’ ulteriore contrazione dei redditi e, necessariamente, si ridurranno le contribuzioni previdenziali in favore della Cassa, con tutte le gravi conseguenze che ne deriveranno per le nostre pensioni e, forse, per l’esistenza della Cassa stessa.
È quindi indispensabile che la Cassa Forense non si lasci più sottrarre risorse ed, invece, attragga a sé tutta la possibile contribuzione riconducibile alle prestazioni professionali esercitabili dagli iscritti negli albi forensi.
In questa ottica, verrebbero veicolate a Cassa Forense tutte quelle ingenti contribuzioni derivanti da prestazioni dei “professionisti del diritto” e che attualmente finiscono nelle casse della Gestione Separata dell’INPS.
Attualmente nel contesto societario e bancario, quando un Avvocato riveste la qualifica di componente di un organo sociale (consiglio di amministrazione, collegio sindacale, comitato di controllo, ecc.), matura corrispettivi la cui contribuzione è destinata all’INPS e non certo a Cassa Forense.
Ma è giusto ciò? Certamente no. Ma ancora più ingiusto e anacronistico è il precludere ai Colleghi di rivestire le cariche gestorie (amministratore unico, presidente di consiglio di amministrazione, consigliere delegato, ecc.) in seno alle identità del mondo produttivo.
Ormai, nell’Europa unita, migrano gli “abogados” e le più recenti “lenzuolate” (quelle della legge di stabilità 183/2011, su tariffe professionali e soci di capitale) hanno relegato nel dimenticatoio le famigerate liberalizzazioni della ''Bersani'', approvate con il decreto-legge 223/06.
Per questo, non crediamo affatto che, nel mutato scenario dei nostri tempi, abbia senso ritenere che l’art.3 del R.D.L. 1578 del 1933 (convertito con la legge 36 del 1934!!!) possa ancora precludere agli Avvocati di amministrare e, comunque, di svolgere un ruolo verticistico nelle compagini imprenditoriali.
Questa vetusta normativa è stata promulgata nel vigore del Codice di Commercio di cui al Rd 1062 del 1882 (si: davvero, del 1882!!!), ai sensi della quale erano ritenuti «atti di commercio» non la sola compravendita di merci ma si prevedeva anche che «sono commercianti coloro che esercitano atti di commercio per professione abituale e le società commerciali».
Sono entrati in vigore il codice civile del 1942 e la Costituzione repubblicana ma, su questo punto, nessuno è riuscito a dare corpo ad un ripensamento del non più attuale indirizzo interpretativo.
Adesso, però, è giunto davvero il momento di fare ciò.
L’Avvocatura ne sta prendendo definitivamente coscienza e sono maturi i tempi che il CNF e Corte di Cassazione, manifestino, da subito, opportuni revirement sul punto, esercitando, in particolare la Cassazione, quella prerogativa nomofilattica che la più recente legislazione consente.
Ciò, in attesa che il Parlamento vari la tanto attesa nuova legge forense, tenendo anch’esso conto di tale più recente indirizzo, in linea con i nuovi orizzonti di una Avvocatura più moderna e competitiva.
Avv. Paolo Nesta
Presidente dell’Associazione
Alleanza Forense
per la Giustizia
Avv. Massimiliano Venceslai
Tesoriere dell’Associazione
Alleanza Forense
per la Giustizia
Avv. Alessandro Graziani
Segretario dell’Associazione
Alleanza Forense
per la Giustizia