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La mortale palude americana

Di Carlo Di Stanislao

Ancora una sparatoria in una America che è sempre più simile al Far West e senza “bravi sceriffi” a risolvere i problemi.
E’ avvenuta nel New Jersey, in un negozio di Old Bridge, a circa 40 chilometri da New York e vi sono state tre vittime: due commessi e l'uomo che ha aperto il fuoco e che, dopo l'aggressione, si è suicidato.
Il tutto alle 4,30 di stamani, con il centro ancora chiuso ed i commessi all'interno per sistemare le merci e prepararsi all'apertura che, negli USA, avviene puntualmente un’ora dopo.
Il principale quotidiano locale, The Star-Ledger, scrive, nella edizione del mattino, che sono intervenuti alcuni agenti speciali e dopo uno breve scontro a fuoco con loro, il killer si è tolto la vita.
In questa America di totale follia, si è appreso, l’altro ieri, che un gruppo sovversivo formato da alcuni soldati pronti a tutto, capaci di uccidere un loro commilitone e la sua ragazza temendo che potessero denunciarli alla polizia, è stato fondato da un uomo (Isaac Aguigui), che ha usato i 500 mila dollari della polizza sulla vita della moglie, deceduta un anno fa e, forse da lui stesso uccisa, per reclutare altri militari e acquistare armi, munizioni e componenti per ordigni esplosivi.
Secondo quanto dichiarato da uno dei soldati coinvolti, che ha deciso infine di collaborare con la polizia, l’organizzazione è la responsabile dell’omicidio dell’ex militare Michael Roark e della sua ragazza, Tiffany York, di appena 17 anni, poiché temeva di essere tradito.
Così ci viene in mente la sociopatia che Ariel Vromen narra in “The Icemen”, film in concorso a Venezia, in cui si descrive una società in cui, dietro ogni individuo, può nascondersi un pericoloso killer.
Una società in cui uccidere un uomo che brandisce un coltello da cucina a Times Square diviene un atto giustificato per la polizia, dove è abbastanza normale che un uomo semini il panico davanti all'Empire State building, in pieno giorno, sparando e uccidendo un ex collega, oltre a ferire altre nove persone.
L’America è un paese attraversato dalla violenza, un problema che non muta, come dimostrano la strage di di Aurora in Colorado e quella nel tempio Sikh di Oak Creek, nel Wisconsin, portata a termine da un americano convinto che chiunque porti un turbante sia un pericoloso attentatore della società e dei suoi sacri valori.
In questa America non è strano che dei soldati, con mitragliatrici e bombe a mano, si propongano il folle piano di uccidere Obama e “ridare il Paese al popolo” e, ancora, di piazzare una bomba vicino a Savannah, far esplodere una diga e, last but not least, avvelenare le piantagioni di mele di Washington, per trasformare gli abitanti della capitale in “tante Biancaneve”.
Perché questo era il folle disegno di Isaac Aguigui (sarà un caso che il nome di battesimo sia lo stesso del terribile tornado in Lousiana?) e dei suoi adepti, autedefinitisi F.E.A.R., cioè paura, con un leader che, subito dopo l’arresto, ha detto di essere: “il più bel assassino a sangue freddo che mai incontrerete”.
Gli americani, fino all’11 settembre 2001, hanno visto i nemici come avversari lontani, che non potevano colpire sul loro territorio nazionale.
Dai nazisti ai comunisti, fino agli islamici, gli Stati Uniti si sono sempre sentiti al sicuro dai pericoli esterni, ma con l’incubo, sempre aleggiante dell terrorismo interno.
E questo incubo ora cresce, a dismisura, con la consapevolezza che la violenza genera solo violenza.
E, come al solito, il cinema migliore intercetta e rappresenta questo clima.
Lo ha fatto con “Le paludi della morte”, lo scorso anno a Venezia, con Ami Canaan Mann, figlia del più celebre Michael, che ci racconta una storia ambientata nelle terre desolate del Texas, un giallo in cui i protagonisti danno la caccia a un serial killer che si diverte a squarciare i corpi delle sue vittime abbandonandoli nelle paludi, con poliziotti con super poteri e super problemi, spesso non meno pericolosi dei criminali che cercano di fermare.
Il copione di Don Ferrarone, ex agente della Dea, girava da dieci anni a Hollywood e la giovane Ami ne ha fatto un capolavoro, teso ed etico come Picnic a Hanging Rock di Peter Weir, in cui l’unica soluzione possibile è recuperare la pietas dolente in una società che pare averla completamente cancellata.
Le paludi della morte (il solito scempio di un titolo originale molto più centrato ed evocativo, Texas Killing Fields), ha il merito di farci vedere l’altra faccia dell’America, fatta di maltrattamenti ai ragazzini, spaccio di droga, omicidi seriali, prostituzione minorile, famiglie disfunzionali e sociopatia sempre più dilangante.
Già nel 2004, nel rapporto intitolato Human Rights Record of the United States 2004, suddiviso in sei capitoli, era scritto che ogni anno 31.000 americani sono uccisi (in media 80 al giorno) e 75.000 sono feriti da armi da fuoco; per lo più vittime innocenti di una società armata fino ai denti, dove il 41,7% degli uomini e il 28,5% delle donne ha un’arma da fuoco in casa.
E ancora, che la polizia ha il grilletto troppo facile e non solo con fucili e pistole, ma con i Taser, le pistole che lanciano una scarica elettrica, con le quali hanno causato, in 5 anni ben 80 decessi.
Certo va detto che quel rapporto era stato concepito dal governo cinese e viene da chiedersi da che pulpito viene la predica, ma altrettanto certamente le cose, da allora, non sono migliorate e gli USA hanno davvero, oggi più che mai, un grande problema di sicurezza e violenza.

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