Site icon archivio di politicamentecorretto.com

La consapevolezza del nostro destino

di Melo Cicala Presidente di “INSIEME per gli italiani”

Organizzarci e credere. Le comunità italiane all’estero, ovunque esse si trovino nel mondo si sono rassegnate a distaccarsi definitivamente dall’Italia. Non per scelta ma per necessità, dunque. L’evidenza li sconforta. In molti casi subentra l’apatia. Molti ostacoli si frappongono tra la realtà e l’intenzione e molti sacrifici si imporrebbero per superarli come se già non bastassero quelli esistenti. In molti casi le lamentele sono pacate. Le esigenze ridotte all’osso estrapolate dalla marea di rinunce e mortificazioni cui i governi italiani li sottopongono. «Vorrei solo che i miei figli ed i miei nipoti parlassero l’italiano frequentando scuole italiane, non pretendo niente di più, in fondo qui ormai sto bene e mi sono integrato ed anche se non mi trovassi bene sarebbe tardi per cambiare.» Si sente spesso parlare in questi termini soprattutto dai nostri connazionali in Australia per esempio. Non vi sono pretese impossibili, e l’orgoglio, la dignità impedirebbero di chiedere a palmo aperto una elemosina. Negli anni della prima emigrazione e non solo molte famiglie italiane ricevevano sistematicamente, oltre alle rimesse in denaro, il classico pacco dall’estero dei parenti emigrati. Quello che proveniva dall’America del nord conteneva immancabilmente il pepe americano nel suo inconfondibile scatolino bianco, caramelle, giocattoli, colt e winchester per i maschietti ed abbigliamento per i grandi. Chiediamo ai ragazzi di quegli anni con uno zio in America la gioia e la fierezza di essere l’unico ad indossare nel quartiere il primo blue jeans arrivato direttamente da New York. Nell’animo dell’emigrante è vissuta incessante la voglia del riscatto, quella di ritornare al paese un giorno in una fiammante cadillac eldorado a ristrutturare la sua casa natia. Avrebbe risposto alle domande curiose dei paesani, avrebbe raccontato di fatti ed esperienze diverse, descritto luoghi e raccontato storie straniere. Molti, troppi, forse tutti, hanno visto infranta questa speranza. La vita non è un film e le speranze non si convertono quasi mai nella realtà. Il torpore nel quale sono avvolte le nostre comunità oggi è comprensibile: “perché non servono più,” colpevolmente si chiosa. Ma può essere diradato. Siamo in tempo. Basta trasmettere loro la fiducia necessaria per organizzarsi e credere nelle loro possibilità, nelle loro capacità di attuare il riscatto. Essi sono più che mai, sotto il profilo umano ed economico, utili al nostro paese perché portatori di amor patrio ed esperienza nuova. A questo devono servire i movimenti sui territori e a niente altro. Non alla continua espansione fine a sé stessa del mucchio degli aderenti, non alla cooptazione di persone intonse, ci viene di pensare all’est dell’Europa, in consessi ad esse avulse per storia personale e stile. Ma la novità non sta nel promettere di ricavare i bisogni dalle casse dei governi di Roma, piuttosto nell’autodeterminazione e nella realizzazione di un progetto costruito, pensato e pronto alla concretizzazione senza aiuti di avvio, senza elemosine evitando il diniego che è assai mortificante. I movimenti esistenti che non fosse “INSIEME per gli italiani” non hanno come obiettivo questo traguardo. La maggior parte di questi promette che il ragno dal buco dovrà essere cavato dal Parlamento commettendo un errore cruciale. Essi vedono nel Parlamento e nelle istituzioni il principio, l’inizio dal quale iniziare l’azione politica. Non può essere così. Neanche un governo ricchissimo con le tasche gonfie di denaro pubblico accetterebbe di elargire aiuti e sovvenzioni senza un minimo di progettualità che non sia la pura e semplice rivendicazione del diritto. Le istituzioni sono necessarie e dirimenti, nessuno lo negherebbe mai, ma al cospetto di progetti predeterminati, funzionali e pronti alla realizzazione. Ecco la novità di base che INSIEME propone. “Organizzarci e credere”, da qui bisogna ripensare la storia del futuro dell’italianità all’estero.

Exit mobile version