L’ESTETICA DEL VELINISMO HA PESCATO IN DISVALORI PIà™ GRAVI?

Chi scrive non ha mai ritenuto che dallo scandalo presidenziale del “bunga bunga” potesse giungere altro nocumento, se non quello (in sé, reale, ma difficilmente tangibile) di un problema di credibilità internazionale non solo del diretto interessato, quanto e piuttosto della classe dirigente nel suo insieme.
Vieppiù, nonostante certe ricostruzioni accomodanti, che vedrebbero il presente scadimento di certi costumi, di certe regole, di certe prassi, filiazioni dirette della cultura televisiva di massa degli anni Ottanta (Drive in e dintorni), non ho mai ritenuto che il problema emerso chiaramente ai tempi di Tangentopoli, ma mai davvero rimarginatosi, potesse esser risolto confrontando esclusivamente l’attualità con gli stili di vita proposti dai media di consumo -indicatori, più che cause, di certi fenomeni. Perciò, il deprecato “velinismo”, con cui con parole responsabili si sono misurate poche voci critiche ma fondamentalmente antimoralistiche (penso a Sofia Ventura, a Flavia Perina, ad Angela Azzaro), non dovrebbe sembrare fonte di chissà quale spirale negativa, ma esser visto come fenomeno, la cui egemonia nell’estetica è, peraltro, continuamente ridiscussa da una crisi economica che richiama risposte politiche di rigore e fermezza, ma, all’atto pratico del dato normativo, contenimenti drastici e non sempre razionalmente pianificati e pianificabili.
Appare di palmare evidenza che nel “velinismo” siano sconfinati e travasati modi e gusti che pescano in prassi ben più deteriori delle nostre soubrettes televisive e dei nostri riferimenti, anche quelli più convenzionalmente volgari (il coatto, il tamarro, il concorrente del reality, la prezzemolina dei rotocalchi e così via).
L’estetica da mercimonio sessuale che si ha davanti ha lungamente influenzato, a tutti i livelli, la presentazione del corpo nel tessuto sociale, suggerendo, magari, percorsi di rimozione del corpo informe, insano, assoggettato. È adesso questo travaso che ha cambiato direzione: sono i corpi presuntamente rimossi dal dibattito mainstream a fissarne, tuttavia, le coordinate di esplicitazione, manifestazione, esteriorizzazione. Il modello comportamentale e visivo della velina poteva influenzare l’estetica quotidiana tanto della giovane casalinga disoccupata quanto della madre di famiglia, tanto della rampante rappresentante politica quanto della prostituta; adesso, l’ostensione eccessiva muta e trova nuova direzione: è il tutto che si proietta, in ogni modo e con ogni mezzo (soprattutto, le nuove tecnologie, ma anche mezzi antichi e… dei più antichi del mondo), a fissare una tipologia di rappresentazione del proprio essere con gli altri smodata, ridotta a massa esibita, a feticcio di una provocazione che, però, non supera la soglia di una scialba promessa di sessualità e nudità seriale. L'offesa è alla dignità del nudo, non del suo spettatore.
Forse finiremo persino col rimpiangere i tempi in cui a riempire le cronache bastava l’analisi dei tic e delle nevrosi e dei vestiti (meglio: dei travestimenti a sfondo erotico) di signore e signorine che, con un guizzo retrogrado di maschilismo, si appellavano nel calderone delle “olgettine” -divenute in breve talmente tante da poter sembrare troppo anche per l’appetito più eccessivo: già qualcosa, in quello scandalismo, verosimilmente non funzionava.
Resterà, invece, e in modo graniticamente confermato o addirittura riaccentuato, il problema del corpo rimosso, di una devianza sull’apparenza, cioè basata sulla fenomenologia, non sull’ontologia (come si è) o sulla deontologia (come si dovrebbe essere). Malati, anziani, reclusi, clandestini, lavoratori precari, minori, migranti, sfruttate e sfruttati, sembrano avvisati… si è celebrata, si, la fine di un sollazzo infinito, le cui ragioni di allegria effettivamente sembravano insultare la mitezza richiesta dalle difficoltà quotidiane. Ma, appunto, finito il sollazzo, la fine del bivacco non ci appare esser stata sufficientemente impostata come possibilità di risolvere problemi e di “rischiarare tenebre”. Semmai, esse torneranno a una forma un po’ più mesta e non per questo meno grave.

Domenico Bilotti

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