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ANGELINO ALFANO CHIEDE A VITTORIO FELTRI DI SCENDERE IN CAMPO

“Questa o quella, per me pari sono” – cantava Pavarotti nell’opera Rigoletto di Giuseppe Verdi – tanto che questo testo operistico mi ha prodotto in questo momento un transfert verso il Pdl che, attraverso il suo segreterio Angelino Alfano, ora cerca di convincere, anziché… comperare (come faceva per certuni l’Arcoriano) il direttore del “Giornale”, Vittorio Feltri.

Quale prova provata questa che dimostra ancora una volta, in maniera ineludibile ed inequivocabile, che i mass-media di proprietà hanno una funzione fortissima nei confronti della politica, anche se l’uomo di Arcore ha sempre negato questa realtà riconducibile anche al conflitto di interessi che, ancor oggi, è solo sulla carta senza alcun provvedimento volto a risolvere il problema.

Io penso, pur senza nulla togliere a Feltri, peraltro un giornalista che sa rovesciare e giustificare anche certe verità dirottando spesso la pubblica opinione (i vari talk-show lo ricordano), che questo invito fatto da Alfano a Feltri, sia indice di lapalissiano fallimento del Pdl.

Come dire: tentiamo con l’ultima cartuccia.

Se mi è consentita una critica sulla produzione giornalistica del prossimo “politico” molto presumibilmente invitato ad Arcore in veste diversa dal giornalista, dico senza mezzi termini che non ricordo, nemmeno una sola volta, che questo giornalista non sia stato velenoso nei suoi pezzi, con ingredienti molto pesanti anche per la democrazia, circostanze tutte che, ove venisse pure lui immesso nel mercato della politica, il clima litigioso di tipo berlusconiano, ritornerebbe a galla e, con esso, anche la ingovernabilità.

“Meglio sarebbe che non ti avessi mai amato ”, è il testo di una canzone di F. De Andrè, con cui mi viene spontaneo chiudere questo mio pensiero, con un accostamento non proprio felice, ma sicuramente riconducibile ed in linea con l’apertura del pezzo, riferendomi all’amore spezzato fra Lega e Pdl, che doveva essere eterno ! Suggerisco pertanto ad Alfano di pensarci bene prima di dover ri- cantare, in coro con il suo capo, la canzone di De Andrè.

ARNALDO DE PORTI

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