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Il nonno della fantascienza ci ha lasciato, togliendoci la paura del buio

Di Carlo Di Stanislao

Non voleva saperne di internet, kindle, cellulari e Ipad.
Soprattutto non voleva vedere un suo libro su un lettore elettronico finché l’anno scorso ha ceduto all’avanzata delle nuove tecnologie e ha concesso che proprio “Fahrenheit 451”, che ha venduto nel mondo oltre 10 milioni di copie, diventasse un ebook, ma resta chiaro che nulla poteva eguagliare per lui il valore dei libri di carta. Nato a Waukegan, nell’Illinois, il 22 agosto del 1920, figlio di un operaio e di una casalinga di origini svedesi, dopo il liceo non potè andare al college e così cominciò a frequentare le biblioteche in cui credeva più che nelle università.
E proprio per il salvataggio delle biblioteche pubbliche della Contea Ventura, vicino a Los Angeles, si era fortemente battuto negli ultimi anni.
In California, la terra d’adozione, dove è morto, ha scoperto la fantascienza e cominciato a scrivere i suoi primi racconti polizieschi e noir.
Le sue “Cronache marziane”, 28 storie sull’esplorazione e futura colonizzazione del pianeta Marte, raccolte in antologia nel 1950, hanno avuto subito un successo internazionale e sono diventate un film tv con la sceneggiatura di Richard Matheson.
“Riposa in pace Ray Bradbury, vecchio nonno”, ha cinguettato sul suo profilo il nipote Danny Karapetian.
E il tweet è stato subito ripreso da una serie di blog per poi acquisire l'aura dell'ufficialità con le uscite dei siti web del Los Angeles Times e del National Post. Un artigiano della parola Ray Bradbury, la cui carriere ha dato lustro alla America come “terra delle opportunità” ed i cui romanzi hanno sdoganato la fantascienza come genere letterario.
La sua prima raccolta di racconti è datata '47 e porta il titolo di “Dark Carnival”, ma il salto di qualità lo compie nel '50, quando riunisce in un unico volume le sue “Cronache marziane” (in Italia usciranno nel '54): 28 racconti, molti dei quali già editi, incentrati su una colonizzazione prossima ventura del pianeta Marte da parte dei terrestri.
Ma il suo capolavoro resta “Fahreneit 451”, uscito negli States nel '53 e riproposto al pubblico italiano tre anni più tardi. Vi si immagina un mondo nuovo, se possibile più cupo di quello disegnato da Aldous Huxley e George Orwell prima di lui. Qui i libri sono ritenuti pericolosi, vengono messi al bando dall'ordine costituito e ai vigili del fuoco tocca il compito di non lasciarne neanche una traccia, bruciandoli alla temperatura di 451 gradi Fahreneit. Nonostante tutto, nell'autore, alberga un po' di speranza: c'è spazio nel romanzo per una società segreta che salva i testi… imparandoli a memoria. Una parabola memorabile, almeno quanto il film che il profeta della Nouvelle Vague francese Francois Truffaut (grande amante dei libri e della fantascienza lui stesso) ne trarrà nel '66.
Dopo “Fahreneit” intraprende la carriera di sceneggiatore cinematografico, iniziata con il Moby Dick di John Huston, senza però dimenticare la sua carriera di romanziere. Si ricordano infatti “Il grande mondo laggiù”, “Le meraviglie del possibile”, “Io canto il corpo elettrico!”, “Paese d'ottobre”, “Il popolo dell'autunno”, “Viaggiatore del tempo”, l'ambizioso giallo “Morte a Venice” e il più leggero “Il cimitero dei folli”, fino a “ Le auree mele del sole”.
Cresciuto in biblioteca, appassionato di fumetti, Ray Bradbury aveva un rapporto speciale con i libri e la lettura e proprio per questo, come Philip K. Dick e George Orwell, ilò mondo della fantascienza.
Bradbury considerava Shakespeare, Shaw, Pirandello grandi maestri e amava la poesia.
Nelle sue storie di fantascienza c’è sempre un rimpianto per un mondo di innocenza perduta. Questa particolare sensibilità si ritrova in tutti i suoi libri, pubblicati per la maggior parte in Italia da Mondadori, i primi nella storica Urania.
E’ stato anche autore un libro per ragazzi “Accendi la notte”, pubblicato nel 2011 da Gallucci nella traduzione di Carlo Fruttero, con disegni di Anton Gionata Ferrari., scritto nel 1955 e storia di un ragazzino che ha paura del buio finchè non arriva Buia, una misteriosa bambina che ha la faccia bianca come la luna.
Di lui ho amato tutto, ma soprattutto un testo definito minore, uscito in Italia (per Rizzoli), nel 2006: “Lo zen e l’arte della scrittura”, in cui ci parla di sé e ci rende partecipi dei desideri, delle esperienze e dell'eccitazione di una vita dedicata alla scrittura.
Ci parla dei suoi primi dilettanteschi racconti, dell'origine dell'amore per la fantascienza e di come gli sono venute le idee più importanti per i suoi romanzi.
Le sue infantili paure, le sue ossessioni e i suoi amori fanno da sfondo a un' arte dello scrivere che ha sempre avuto un fine difficile quanto banale: scrivere storie.
Non un'autobiografia, bensì un manuale nel quale uno scrittore eccellente elenca i principi pratici dell'arte della scrittura: tutto ciò che serve per sviluppare idee originali e uno stile. Le ricette che si trovano in questa “dieta dello scrittore” non sono banali consigli, ma un vero e proprio elogio della vita e dell'ostinata volontà di raccontarla. Una celebrazione dell'atto stesso di scrivere, che incoraggia a seguire un'unica regola: i propri istinti e le proprie passioni.
E mostra come il successo di uno scrittore dipenda da quanto conosca bene un unico argomento: la propria vita.

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