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Le potenzialità  dell’astensionismo in un’ottica di risanamento e rilancio politico-sociale.

Il termometro della partecipazione dei cittadini agli appuntamenti elettorali, con i suoi dati in costante flessione, segna il dato inconfutabile di uno scollamento quasi irreversibile tra essi e la classe politica del nostro Paese, destinato ad aumentare ulteriormente.

La considerazione più logica ed evidente è che l’astensionismo deriva dal fatto che sempre più elettori si stanno accorgendo che la politica è oramai espressione esclusiva di una drammatica inconcludenza, senza idee innovative nell’affrontare l’attuale crisi, ma soprattutto priva di risposte necessarie e urgenti alla società in un’ottica di medio/lungo termine.

Se a ciò aggiungiamo l’enormità e la complessità dei costi della politica italiana, va da sé che la ricerca di soluzioni, finalizzate prima di tutto al contenimento della spesa pubblica, prima o poi dovranno per forza passare attraverso lo smantellamento di questo dispendioso e dannoso apparato improduttivo per la nostra economia, che partiti e lobbies, negli anni, hanno sapientemente perfezionato ad esclusiva salvaguardia dei propri interessi.

Una delle pochissime proposte reiteratamente lanciate in questa direzione dal movimento astensionista politico CVDP, se pure accuratamente oscurate dai principali circuiti mediatici nazionali per volere di una partitocrazia proprietaria in questo Paese anche del diritto a una corretta informazione, è intesa a facilitare la piena attuazione dei principi pluralistici e partecipativi contenuti nella stessa Costituzione repubblicana, e che addirittura in questo momento potrebbero tornare utili verso quell’urgente risanamento dei conti pubblici nei confronti dei quali anche l’azione dell’attuale Governo tecnico sembra stia per naufragare.

O si rilancia, e rapidamente, l’intera produttività economica del sistema-Italia, partendo appunto dall’eliminazione di tutti gli sprechi collegati alla politica, oppure verrà inesorabilmente a mancare anche la possibilità di quello slancio di credibilità internazionale, l’unica che potrebbe farci invertire la rotta da un disastro pienamente annunciato.

Il nocciolo della proposta astensionista, come è noto, tende a eliminare gli sprechi collegati all’invadenza sovradimensionata dei partiti rispetto ai termini del consenso reale ed effettivo nutrito nei loro confronti dagli elettori, e consiste nel rimpiazzo da parte dei non votanti dei vuoti venutisi a creare nei consessi politici di ogni ordine e grado in conseguenza di questo maggior distacco.

Tale funzione, come più volte annunciato, sarà totalmente gratuita, conferita per sorteggio e su base rotativa di breve periodo, e dettata da una esclusiva “chiamata civica” alla quale nessun cittadino, per semplice dovere politico-civico, dovrebbe opporsi.

Una sorta di decisionismo politico caratterizzato però da un maggior tecnicismo democratico-partecipativo.

La progressività di questo nuovo impianto, partendo inizialmente dalla miriade di Enti secondari con l’intento esclusivo di licenziare quell’esercito di nominati politici a capo di essi, che da troppo tempo imbrigliano e condizionano pesantemente la società e l’economia italiana, si estenderebbe quindi gradatamente anche ai restanti ambiti istituzionali (Comuni, Province, Regioni, Stato), che successivamente potrebbero anche essere accorpati in entità più funzionali.

In pratica, l’individuazione delle opzioni tecnico-giuridiche degli Enti rimarrebbe riservata ai dirigenti della Pubblica Amministrazione, mentre le scelte politiche o decisionali delle soluzioni individuate sarebbero attribuite alle consulte partecipative caratterizzate da fedeli rappresentanze delle quote politico-pluralistiche della società, astensionistiche incluse, che così toglierebbero quell’eccesso di compensi attualmente corrisposti al sovradimensionato numero di rappresentanti di esclusiva nomina partitica, lasciandoli nelle casse dello Stato.

Questi meccanismi, oltre ad incidere fortemente su quella che è la spesa pubblica destinata alla governance istituzionale e democratica, attualmente segnata appunto da un tasso elevatissimo di sprechi, oltre a riallineare i partiti alle esigenze della società civile certamente favorirebbero, contemporaneamente, anche inputs di rinnovamento meritocratico, e l’inizio della bonifica di tutte quelle fenomenologie corruttive e clientelari tipiche dell’attuale sistema di potere italiano.

Roma, 4 giugno 2012

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