LAVORARE MENO, MA LAVORARE TUTTI

La disoccupazione, da noi, non è un fenomeno recente; si è solo tragicamente aggravata. Sino alla prima metà del secolo scorso, era decisiva la quantità del lavoro. Oggi si punta sulla qualità. Il problema di un lavoro per tutti non sarà mai risolto; si può, però, provare a ridimensionarlo. Nonostante la crisi che imperversa. La nostra economia resta precaria e non sembra, di conseguenza, possibile garantire un maggior flusso occupazionale. Del resto, il nostro Paese, privo di materie prime, ha indirizzato la sua economia nella trasformazione dei prodotti; con una spiccata dipendenza sulle forniture dei materiali trasformabili. Anche in area Euro, non è possibile modificare quest’oggettività. Non resta che da verificare una diversa ripartizione della produttività interna. Anche in questa dimensione, però, c’è da tener conto della concorrenza d’altri mercati che forniscono prodotti finiti e di qualità a prezzi certamente inferiori di quelli nazionali. Ciò premesso, nasce l’esigenza d’organizzare differentemente la forza lavoro adeguandola alle nuove tecnologie automatizzate. Se si vuole tentare di ritornare competitivi, non si può contrarre ancor più il livello occupazionale. Il binomio occupazione/produzione, che in passato si reggeva sugli utili a discapito della convenienza, oggi trova riscontri sulla mobilità del lavoro e sulle specifiche professionalità. Ciò a discapito del numero totale d’occupati. I politici lo hanno sottovalutato, i “tecnici” hanno difficoltà di gestirlo: il vero problema, da noi, è il costo del lavoro. Costo che, soprattutto verso il tramonto del secolo scorso, è continuamente lievitato tramite una sorta di disputa tra imprenditori e forze sociali. La crisi ha fatto il resto. Senza incidere sulla produttività e mantenere i posti di lavoro, appare ragionevole giostrare sull’orario di lavoro. Invece di licenziare o mettere in moto la cassa integrazione, si potrebbe ridistribuire il lavoro tra tutti gli occupati a paga ridotta. I cicli di lavoro rimarrebbero invariati e con lo stesso investimento di capitale, si potrebbe garantire a tutti l’occupazione; anche se a paga inferiore. In altri termini, se l’utile non deve subire flessioni, non resta che rivedere, sul campo della concertazione, gli orari di lavoro. I tempi difficile nei quali viviamo non consentono molte prospettive ad un problema che si presenta sempre più complesso. Il ridimensionamento dell’orario di lavoro, nell’attesa di tempi migliori, andrebbe anche a ridurre gli oneri previdenziali e fiscali a carico del datore di lavoro e del lavoratore. Per terminare: se il costo del lavoro non può essere ridotto e la disoccupazione tende ad aumentare, la proposta di una riduzione, magari ciclica, dell’orario di lavoro potrebbe rappresentare una soluzione tampone. Certo è che sul fronte del lavoro si hanno da trovare alternative meno penalizzanti. Con la prospettiva d’aumentare la produttività, la competitività e frenare la disoccupazione, l’arguzia potrebbe essere: ”lavorare meno, ma lavorare tutti”.

Giorgio Brignola

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