MOVIMENTO POLITICO PER IL RINNOVAMENTO MORALE “LE PROFESSIONI PER L’ITALIA”. ”Riscriviamo tutti assieme le regole del paese”

La società civile non è più governata dai valori, ma è governata dalle logiche del mercato. La cultura è sostituita dalla ideologia del mercato, e il lavoro intellettuale – come è quello dei professionisti – è diventato nella configurazione sociale un prodotto, a tal punto che si pretende che la prestazione intellettuale venga identificata alla stregua di una merce.

Abbiamo due “elefanti” nella nostra società che con la loro grande mole abbattono ogni ostacolo al proprio cammino, compresa la cultura che è diventata un fatto marginale. Un primo elefante è lo Stato. È oggi inutile parlare di democrazia e di bene pubblico. Chi va al Governo lo fa per esercitare un potere accentratore e personale. Si è diffusa anche in questo paese una visione statocentrica che favorisce l’uso personale del potere pubblico.

Il secondo elefante è il mercato, che vuole imporre a tutti un modello ispirato esclusivamente al profitto. I cittadini sono “educati” ad uniformarsi ad uno stile di vita che coincide con una visione meccanicistica. Si è riusciti, attraverso una deformata informazione e una manipolata comunicazione, a fare in modo che la gente viva come il mercato vuole.

Il fatto di stabilire che una società deve essere ispirata a principi mercatisti e l’economia deve prevalere sui valori civili e sulle persone, ha determinato una trasformazione deteriore del capitalismo. Il capitalismo nella concezione originaria era rivolto essenzialmente allo sviluppo della produzione e dell’economia di un Paese.

Cos’è diventato oggi il capitalismo? Il capitalismo si fa ospitante, non sviluppa più i fondamentali del lavoro e del capitale ma corrode e sfrutta le radici dello sviluppo fino ad annientarle. E poi si trasferisce sul terreno di un altro soggetto ospitante per continuare la propria opera. Il capitalismo è diventato parassitario e, in tale modo, sviluppa ed incrementa il capitalismo finanziario.

Con tutte le connesse “bolle” e la vertiginosa speculazione derivante da “subprime”, derivati e furberie che arricchiscono pochi soggetti speculatori.

C’è una trasformazione progressiva dell’idea di cultura dalla sua concezione originaria di ispirazione illuministica ad uno strumento di opportunismo e di guadagno. Una sostanziale emarginazione dell’intelligenza che viene annientata dai poteri forti che promuovono l’emancipazione dei mercati senza valori e senza regole.

Che cosa si sta tentando di fare nell’intreccio perverso tra politica ed economia?

Si tende anzitutto a estraniare qualsiasi fattore etico. Tagliando le gambe ai valori sociali e introducendo solo competitività di prezzi e di prodotti, nell’ottimizzazione dei risultati di un tale discutibile ed involuto sistema. Non si parla più di radici, mentre quando si pensa al futuro dobbiamo pensare prima alle radici. Al posto delle radici abbiamo le “ancore” in una società che è diventata un mare aperto e insicuro. L’individuo è diventato consumatore, e lo Stato non è più il padre di famiglia che protegge la persona. Lo Stato è diventato il divoratore e distruttore dell’essenza dell’individuo. Incoraggia l’individuo a contrarre debiti e lo Stato a sperperare.

Come può l’Italia uscire da una crisi quando c’è un debito sovrano di 1900 miliardi di Euro che si è man mano costituito per effetto di corruzioni, evasioni, sprechi, appropriazioni del bene pubblico? Si sono susseguite inutili manovre economiche che tutto riducono tranne il debito sovrano. E c’è in generale una spinta per indurre il privato a indebitarsi, per godere meglio del benessere. Un benessere collegato all’utilizzo di tutti gli strumenti del consumismo che hanno cambiato negativamente l’individuo.

L’assenza di etica è il punto più alto della nostra denuncia.

Con le liberalizzazioni selvagge si sta demolendo la natura intellettuale dell’attività professionale. Il discorso è partito con la spinta dei poteri economici ed è proseguito con le indebite ingerenze e la subordinazione della politica alle direttive dei poteri forti.

Si parte da un errore macroscopico che va corretto. Le professioni non possono, infatti, essere assimilate alle imprese, né sono assoggettate alle garanzie della concorrenza. È forte il contrasto genetico e strutturale tra le regole delle professioni e le regole dell’impresa. È profonda la disomogeneità tra le due attività. Perseguendo la sua finalità, la visione mercantile tende a sopraffare la identità del lavoro dei professionisti.

Il professionista, espressione di valori civili del mondo del lavoro, non può essere collegato a principi e meccanismi che riguardano le imprese, spesso prive di etica e senza i valori dell’indipendenza, della dignità e del decoro. La Corte Europea di giustizia ha più volte riconosciuto l’indipendenza, l’assenza di conflitti, il segreto professionale e la confidenzialità quali valori fondamentali delle professioni.

L’importanza di una condotta etica, del mantenimento della confidenzialità con i clienti e di un alto livello di conoscenza e di formazione, impone sistemi di autoregolamentazione identitaria e tradizionale quali quelli sanciti dagli ordinamenti che non possono ispirarsi alle attività economiche e, di conseguenza, all’articolo 41 della Costituzione.

La specificità di ciascuna delle attività professionali, con la rilevanza degli interessi coinvolti, determina che qualsiasi proposta di revisione degli ordinamenti non debba contrastare con l’identità dei professionisti e deve, peraltro, essere “concertata” con la partecipazione delle rappresentanze di categoria.

Se le professioni dovessero perdere la propria identità verrebbero volgarizzate e perderebbero il loro carattere e valore costitutivo. Subentrerebbe il caos e il mercantilismo professionale per dar luogo ad una perdita di qualità con livellamento verso il basso.

Si è più volte denunciato che qualsiasi indirizzo legislativo rivolto a considerare imprenditore il professionista finirà per sopprimere nella sostanza tutto il settore delle libere professioni.

E ciò in controtendenza. Non vi è, infatti, alcun dubbio che l’unica forma di lavoro che ha rappresentato negli ultimi anni un’alternativa seria e completa al lavoro tayloristico (industriale) è quella professionale, ossia l’attività espletata nell’ambito di una professione intellettuale riconosciuta. E ciò perché il lavoro professionale corrisponde a principi antitetici al modello tayloristico: a) è dotato di completa autonomia e indipendenza; b) è caratterizzato dalla completezza dell’operazione; c) si basa su conoscenze tecnico-scientifiche che ne fondano la natura intellettuale.

Una modernizzazione delle professioni non implica che il quadro normativo e ordinamentale vada sconvolto e che i professionisti debbano alterare profondamente la propria funzione diventando imprenditori e acquisendo capitali di terzi al fine di “ingigantire” la propria organizzazione e monopolizzare, per altro, offerte di servizi. Non è, quindi, possibile che, per malintese esigenze del mercato, i professionisti perdano la propria identità. Il valore che essi rappresentano va, infatti, salvaguardato e può assimilarsi ad un prisma esagonale rappresentato dalla natura intellettuale della prestazione, dal rapporto fiduciario con il cliente, dall’elevato grado di affidabilità, dalla tenuta etica dei comportamenti, dal prestigio del ruolo sociale e infine dagli influssi pubblicistici delle funzioni. Si è detto opportunamente che una eventuale alterazione del sistema professionale accrescerebbe il disagio e il disorientamento di tutti coloro che, nell’ambito del gruppo sociale delle professioni, contribuiscono da tempo allo sviluppo economico e civile del Paese.

Roma 6 aprile 2012

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