Il 30 aprile di trent’anni fa la mafia uccideva a Palermo Pio La Torre, segretario regionale siciliano del Pci. Oggi, trent’anni dopo, il Pd, che di quel Pci ha raccolto l’eredita’, sostiene in Sicilia il governatore Raffaele Lombardo, nei confronti del quale la Procura di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Non e’ solo una contraddizione, e’ molto di più: e’ il tradimento della propria storia, della propria identità, del proprio credo.
Ho sentito Bersani dire che non sottovaluta la vicenda Lombardo, ma che a Lombardo non chiede la data delle dimissioni quanto quella del voto. E perché? Perché non togliere subito la fiducia a un governatore che non solo ha fallito politicamente, ma che per le sue frequentazioni con mafiosi si sarebbe dovuto già dimettere da tempo? Il legittimo sospetto è che si voglia solo prendere tempo per sistemare le ultime cose, in un consociativismo marcio e degenere che è esattamente quello contro cui Pio La Torre lottava con coraggio e determinazione trent’anni fa.
Perché Pio La Torre aveva capito che la mafia stava invadendo le istituzioni, che i rapporti mafia-politica erano sempre più promiscui, più stretti, più pericolosi. Succedeva allora, succede ancora oggi, con indagati, inquisiti, condannati che siedono in Parlamento e fanno del Parlamento la loro roccaforte per sfuggire alla giustizia. Bisogna spezzare questa catena, bisogna lottare per la buona politica.
Perciò se il Pd vuole davvero onorare la memoria di Pio La Torre, e di chi come lui ha perso la vita combattendo contro la mafia, dia subito un segnale forte: stacchi la spina alla giunta Lombardo e sostenga la battaglia dell’Italia dei Valori per disinquinare la politica. Partendo dalla Sicilia, per arrivare in tutta Italia. Prima che sia troppo tardi!