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La società  che verrà . Riflessioni sul “soggetto politico nuovo”

L'iniziativa promossa e finalizzata a costruire un Soggetto politico nuovo, ha visto una prima articolazione nell'incontro torinese (e in altre città italiane) del 17 aprile.
Durante questo primo approccio piemontese, è prevalsa la tesi che la situazione economico-politica, nonché democratica del paese, versa in una situazione a dir poco drammatica.
E' evidente a tutti che l'aspirazione storica del liberismo autoritario si è ormai collocata ben oltre il perimetro dei partiti di destra, sconfinando ampiamente nei partiti di centro-sinistra esistenti che non aspirano certo a rigettare incongrui collateralismi e ingerenze con i medesimi.
Durante la discussione è emersa la necessità di darsi una collocazione, alcuni sostengono la forma “movimento” altri la forma “partitica”, seppure quest'ultima in fase embrionale. Questo a causa della gravità e specificità del momento storico-sociale che stiamo vivendo.
A mio avviso, l'esigenza di partenza è sostanzialmente di metodo. Riaprire la (logora?) cassetta degli strumenti concettuali, ideali, storici finora a disposizione. Verificare la loro idoneità ad analizzare la realtà della presente società. Eventualmente prospettare l'acquisizione di nuovi strumenti di sperimentazione e soprattutto di modelli interpretativi adeguati.
Si tratta insomma di riprendere la grande lezione dei classici del “pensiero sociale”, che è infine sempre quella di dotarsi della capacità di comprendere il corso delle cose e non di galleggiare sulle stesse, di formulare ipotesi sui fenomeni storico-sociali tali da permettere, al pari che nelle scienze della natura, sperimentabili previsioni sul loro divenire. Premessa quest'ultima, ineludibile per chiunque non voglia limitarsi a conoscere il mondo, ma addirittura speri di cambiarlo.
Occorre provare a decidere se la politica sia ancora quella attività umana che pensa di poter conoscere, prevedere e decidere per mutare gli eventi o se al contrario debba limitarsi a registrarli in un rassegnato fatalismo che azzera il futuro nella reiterazione del presente e distorce il passato a improbabile caricatura del presente stesso. Cosa che avviene puntualmente in questo contesto in cui molti vedono l'enormità egemonica del finanzcapitalismo come un ineluttabile destino, da subire, o quantomeno ci colloca inesorabilmente nell'impossibilità di combatterlo a causa della sua pervasività.
Se questa è la grande sfida culturale e politica per tutti i partiti e le forze che in Europa e nel mondo sentono il peso dell'egemonia distruttiva della classe capitalistica transnazionale, appare ancora più urgente per l' Italia, dove il collasso elettorale ha colpito (e colpirà ulteriormente) impietosamente la sinistra; e dove soprattutto evidente risulta la sua perdita di radicamento sociale, di egemonia culturale e, peggio ancora della sua stessa capacità di percezione-definizione identitaria.
Occorre in questa fase di costruzione del soggetto politico nuovo, cominciare con l'affrontare metodi di lavoro e contenuti tematici, di aprire una prima, pur minima, sede di confronto libera ed esente da pregiudizi di appartenenza. Nella quale, finalmente, si smetta di patire la petulante e puerile domanda (con risposta già incorporata e sottintesa per ciascuno) “di chi è la colpa di tutto questo?” E si cominci invece ad analizzare che cosa è realmente avvenuto e come, che cosa potrebbe servire invece per dar vita ad una forma di società diversa da quella attuale.
E tuttavia, se non si vuole restare in una dimensione puramente teorica, se non si vogliono rimandare a tempi imprecisati le prime risposte che, prima o poi, bisognerà pur dare, è necessario anche uno sforzo di immaginazione operativa, lo scandalo di una proposta immediatamente spendibile sulla scena politica del presente che si mostra in tutta la sua drammaticità. Fallibile, certo, probabilmente velleitaria, ma in un modo o nell'altro in grado di calare dal mondo delle idee a quello delle cose, o, se si preferisce di cominciare a camminare con le gambe per terra e gli occhi al cielo e non sempre viceversa. Così da offrire un segno chiaro, una sponda riconoscibile per tutti coloro che, sfiduciati, non si sentono più rappresentati dalle oligarchie di una classe politica in preda all'istinto ossessivo-compulsivo di auto-mantenimento e auto-refernzialità.
Questo è doveroso da parte di chi ha a cuore la sorte del paese, che rischia di cadere nelle fauci di un antipolitica distruttiva e non propositiva che rischia di dar vita a processi autoritari che non vorremmo più vedere.
Il senso di inutilità che vive chi non ha lavoro, i precari (che non avranno pensioni o le avranno insufficienti ad una vita decorosa), chi lo perde in età avanzata ma non può andare in pensione, i giovani che si vedono costretti a progettare il loro futuro all'estero. Il numero inaccettabile di suicidi a causa della crisi; una corruzione capillare e la commistione delle mafie con certa politica.
Davanti a tutto ciò di dobbiamo domandare come faceva Virginia Wolf – “Possibile – che la vita sia sempre allarmante, imprevedibile, sconosciuta?…..che anche per le persone più mature sia sempre un precipitarsi giù da una torre?”
A queste domande dobbiamo darci una risposta, non è più tempo di delegare, tocca a noi società civile decidere quale sarà la società che verrà, costruirla nel senso- come dice il sociologo Richard Sennet- “artigianale” inteso come il piacere di “fare bene una cosa per stessa”.

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