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ITALIA: LA POLITICA DEL GIORNO DOPO

Questa volta scriviamo palesemente d’economia. Della nostra economia. E, quando ci si addentra in argomento, c’è subito da rilevare che la situazione, più che difficile, ha assunto proporzioni indifendibili. Viviamo sopra un castello di carta che si regge su un equilibrio maggiormente precario. Monti non ci sembra più in sintonia con le necessità del Paese. Ci siamo resi conto che essere in UE non significa schivare l’incapacità dei politici nazionali che ci hanno portato dove siamo. Nell’ Unione Europea, ogni Paese porta avanti una sua strategia economica. Noi, invece, siamo compressi da una serie d’imposizioni fiscali, dirette e indirette, che hanno stroncato ogni possibile evoluzione di progetto percorribile. Il repentino cambio del nostro sistema previdenziale e del lavoro non ha nulla di realmente concorrenziale con le posizioni della maggioranza degli Stati del Vecchio Continente. L’ottimismo a buon mercato non paga. Per sanare i bilanci d’Italia, la “cura” Monti, almeno per come c’è stata propinata, si è rivelata insufficiente, ed anche per quest’anno, il nostro Prodotto Interno Lordo (PIL) resterà in area negativa. Del resto, vivere oggi è più difficile che nella primavera scorsa. Un segnale che la dice lunga sulla futura produttività nazionale. Intanto, il livello dei disoccupati ha superato ogni quota di guardia. Nessuno sembra poter proporre una cura valida per evitare una successiva emorragia sul fronte del lavoro. Viviamo peggio e non è più possibile sottovalutarlo. I problemi di “liquidità” ci hanno messo alle corde. Il credito è centellinato e molti non riescono più a far fronte alle spese improrogabili. Mentre il lavoro scarseggia, l’età pensionabile è stata tanto aumentata da non offrire neppure un fisiologico cambio generazionale sul fronte occupazionale. Con nostro disappunto, anche le migliori intenzioni sono rimaste nel cassetto dei progetti a venire. Senza mezzi termini, le “colpe” sono di una politica, sempre più lontana dalla realtà nazionale. Quella realtà che neppure i “tecnici”, sempre più invisi, sono riusciti a surrogare. Ora si cerca di rimediare; ma in modo affrettato e non sempre attendibile. In politica, tanto per evitare le umane tentazioni, basterebbe, intanto, eliminare il finaziamento pubblico dei Partiti. Chi vuole, può contribuire al sostentamento della formazione in cui crede. Punto e basta. Chiuso, poi, con le stesse “figure” che, se non altro, hanno dato tutto e non sono nelle condizioni di poter proporre più nulla. Bisognerebbe varare una norma che sancisse che i Parlamentari, oltre i 66 anni (come prevede la nuova normativa sul pensionamento di vecchiaia), dovrebbero dare le dimissioni. Largo ai giovani. Un nuovo flusso umano potrebbe migliorare, se non altro, le prospettive per il nostro futuro. Invece, tutti si prodigano per mantenere il prezioso posto nelle aule parlamentari. I Principi della Chiesa, raggiunta una certa età, si ritirano. In politica, invece, tutto è “sine die”.

Giorgio Brignola

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