A Window On Italy: La vera caduta e’ quella della destra.

Una seconda repubblica che non ha nulla da invidiare alla prima.

HOUSTON, Texas – La TV e’ un’arma a doppio taglio e cosi’ come e’ mezzo di plagio e di controllo della mente dei sudditi-cittadini e’ allo stesso tempo implacabile quando registra e presenta fatti importanti come quello della caduta e delle dimissioni di Bossi di oggi. E’ un crepuscolo degli dei in chiave nordica italiana che non ha nulla a che fare con il Götterdämmerung delle saghe teutoniche ma che, non per questo, ha meno forza nel far scuotere i pilastri della politica del Belpaese. Se dovesse emergere, infatti, che le accuse sono vere e che Bossi, che fino a poco tempo addietro agitava forche in parlamento e faceva il moralista ha intascato impropriamente fondi con membri della sua famiglia allora, si verrebbe a scoprire che nel panorama politico italiano sono probabilmente in pochi che si salvano e che ribelli chiassosi ed ostinati come Beppe Grillo, tacciati d'essere dei pagliacci agitatori e populisti, avrebbero avuto ragione nel portare avanti la loro crociata contro e fuori dal sistema.

La puntata di questa sera del solito Porta a Porta ha fatto capire, nonostante il modo ambiguo di procedere del suo conduttore avvezzo a non sbilanciarsi mai troppo che, fare le carrellate storiche e celebrative dei “grandi leader” non serve molto per recuperare la faccia perduta, cosi’ come non servono molto i cerotti posti a copertura d'un colpo d’arma da fuoco dai soliti samaritani ingenui.

Partiamo intanto da dati inoppugnabili: se il capo leghista e’ stato costretto a lasciare e, specialmente, se ha dichiarato che non avrebbe dovuto far entrare il suo clan familiare, “the family”, in politica un motivo valido , con buona pace del leghista Matteo Salvini che interveniva alla trasmissione di Vespa da Como, deve esserci pur stato.

Le fibrillazioni leghiste interne erano evidenti e note già da tempo ed il partito aveva mostrato impietosamente che, in perfetta analogia con i concorrenti di destra e di sinistra, non era immune alla lotta spietata per la poltrona considerata certamente la più remunerativa e, forse, non soltanto dal punto di vista delle soddisfazioni morali più disinteressate e genuine .

In casa altrui gli scandali s’erano avvicendati con regolarità quasi svizzera e, dopo le sorprese in casa degli alleati che, a loro insaputa, scoprivano di trovarsi proprietari di case prospicienti il Colosseo , nel prendere le distanze, il gota nordico aveva sempre continuato a ripetere con una convinzione, che comicamente continua ancora, che la Lega Nord era tutt'altra cosa.

Secondo le parole colorite di Salvini, i ventitré anni di regno di Bossi, che non aveva voluto mollare neppure dopo l’ictus devastante del 2004, si sono protratti fino ad oggi specialmente per due motivi: per il fatto che la Padania “smena” ottanta miliardi di euro che vanno a finire nelle tasche di Roma ladrona e per il nobile proposito del leader del carroccio “di cambiare il paese.”

Bossi, ha ripetuto monotamente Salvini come un disco rotto, e’ l’unico segretario di partito che una volta entrato nelle attenzioni della magistratura e’ stato capace di dare subito le dimissioni, conservandosi pero’ prudentemente il ruolo di Presidente del partito.

E' naturale, quindi, dover chiedere ai suoi apologeti, come al misuratissimo Guido Crosetto del PdL ,anche lui presente alla trasmissione, in che cosa consista questa impresa bossiana portata avanti “con fatica” di cambiare il Belpaese. Ad una prima ricognizione dei fatti registrati a Via Bellerio, l’impressione che si e’ avuta e’ stata quella che la tragedia della Lega si fosse consumata nella più stretta e rigorosa continuità, che e' finita per diventare una tradizione, della ormai arcinota mala-politica italiana. E’ già da tempo che gli scandali milanesi del pirellone venivano evidenziando che “c’era qualcosa di marcio in Legaland”, a dispetto delle cadute dalle nuvole ridicole del governatore lombardo Roberto Formigoni che, ad un certo punto messo davanti alle scomode evidenze, ha dato l'impressione d'adottare la politica omertosa molto terrona e poco nordica del “io non c'ero e se c'ero dormivo.”

L’epilogo bossiano, ha avuto quasi la funzione del completamento di un quadro che si era formato durante il governo di centrodestra con le infinite vicende giudiziarie d'altri esponenti della coalizione e d'altri leader. La ritirata strategica di questi aveva indotto a credere che, con questo passo indietro, si volesse fare in modo che il nuovo governo tecnico sceso in campo per salvare l'Italia da una parte completasse la distruzione dello stato sociale e dall'altra facesse dimenticare le politiche che avevano portato al disastro economico gli Italiani mentre si assicurava loro che tutto andava benissimo e che i critici della sinistra erano solo dei menagramo in malafede e populisti.

Adesso, se si dovesse dimostrare che le accuse mosse a Bossi fossero vere e che i fondi fossero stati veramente utilizzati impropriamente e con la sua connivenza, allora si darebbe anche l’ultimo colpo alla credibilità di tutta la destra e specialmente del cavaliere che, fino ad un giorno fa, si e’ schierato risolutamente al fianco del suo ex alleato di coalizione con il quale ha condiviso il governo del paese. Per Berlusconi si tratterebbe sconcertantemente dell’ennesimo “amico” che va ad aggiungersi ad una lista fra i cui nomi figurano anche Bettino Craxi, Putin, Gheddafi ed altri che, universalmente, non sono ritenuti dei grandi esempi cui ispirarsi. Inoltre, questa ennesima cantonata fa pensare che, in effetti, l’ex capo del governo non brilli molto in acume e capacita’ di discernimento sull’effettiva consistenza caratteriale e morale dei personaggi dei quali e' solito a circondarsi.

Glissando doverosamente sulla vicenda del tesoriere Belsito, tutte da esaminare da parte agli inquirenti, rimane pure incomprensibile sulla base di quale logica e per quale motivo un partito intollerante tanto ai terroni meridionali che agli extracomunitari fosse andato a finire a nozze, almeno cosi’ sembra, con la ndrangheta calabrese prediligendo pure per gli investimenti un paese molto meridionale come la Tanzania. Sorge il dubbio che si tratti di un ripensamento e d'un possibile abbandono dell’atteggiamento convintamente xenofobo del popolo del carroccio che e’ solito andare a detergersi nelle acque pure del grande fiume della Padania.

Oggi, più che mai, i destini paralleli dei capi del Pdl e della Lega Nord ed il passaggio malinconico in un’area marginale di Fini e dei suoi sopravvissuti alla diaspora fanno capire che la vera caduta non e’ tanto quella dei singoli leader quanto quella di tutta l’ex coalizione di destra.

Se Atene piange, Sparta certamente non ride.

Chi fino a poco tempo addietro nei comizi e nei talk show esultava per le divisioni interne dei partiti di centrosinistra, in una giornata “storica” come questa, che potrebbe precludere all’implosione della Lega, ha veramente poco di cui gioire.

Lo hanno dimostrato in modo inoppugnabile le riprese effettuate davanti alla sede della Lega di Via Bellerio nella quale s'è consumata la disfatta bossiana e che hanno mostrato fazioni l’un contra l’altra armate. Da una parte quella dei “Maroniti” o “Barbari sognatori” intenti a dare l’assalto alla scalata ai vertici del partito, dall'altra mentre intanto sprofondava travolto dallo scandalo il gruppo dei pretoriani bossiani del “cerchio magico”, si facevano avanti molto determinati i “Lighisti” veneti decisi, anche per l'ecclisse dei piemontesi, a non lasciarsi sfuggire l’occasione di piazzare uno dei loro rappresentanti all’interno del nuovo “triunvirato”.

Mentre l'Onorevole Cesare Damiano, ancora memore dello scandalo della Margherita faceva scialbamente davanti ai telespettatori di Porta a porta il suo mestiere trovandosi nella posizione scomoda di non poter affondare la lama della critica più di tanto, Salvini e Crosetto lanciavano al Belpaese un avvertimento piuttosto inquietante. Entrambi facevano capire, infatti, che per evitare una possibile insurrezione polare nel nord dalla portata imprevedibile, era meglio che la Lega non si dividesse ne scomparisse.

E' sembrato evidente che ciò che teme di piu' la destra, dopo questa Caporetto odierna e all’indomani della resa delle armi al governo tecnico, sono le elezioni che stanno dietro l’angolo ed, alla luce di questa forte crisi, la loro paura e' più che giustificata e più che legittima. Cio’ che non si riesce pero’ a capire e’ come mai questi ex convinti ottimisti, adesso, non si curino più di diffondere queste notizie allarmanti, quando hanno predicato con convinzione che si deve prestare sempre la massima attenzione a cosa pensano dell'instabilità politica i mercati. Questi, per la loro pessima consuetudine, non smettono mai di stare a guardare ciò che avviene in Europa per poi trarre le proprie conclusioni dalle quali scaturiscono per paesi come la Grecia conseguenze molto negative e perfino pericolose per l'economia.

RO PUCCI

I-AM, HOUSTON, TEXAS

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