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L’autocensura della satira sulla religiosità  popolare

Riguardo alla religiosità popolare, che spesso si mischia alla superstizione, la satira si autocensura. Peccato, giacché questo tipo di satira renderebbe un gran servizio alla religione. Non si fa satira su statuine di gesso che piangono ma non parlano e non camminano, su fantasiose apparizioni mariane, su miracolose guarigioni di un bambino sì e centomila no. Non si fa satira sull'assurda persuasione che portare addosso una medaglietta con un'immagine sacra, preservi da sventure così come portare addosso un cornetto rosso. Diverse le cause. Si teme di urtare la sensibilità di troppi credenti e la conseguente loro reazione. Si teme la reazione delle gerarchie ecclesiastiche le quali, pur sapendo perfettamente che le medagliette, e le candele accese, e i pellegrinaggi, e il segno della croce e via di seguito non provocano interventi del buon Dio nelle vicende umane, paventano l'allontanamento dei fedeli dalla Chiesa. Altro motivo è che molti satirici fanno parte della schiera di coloro che considerano un crocefisso o una medaglietta alla stregua di un corno, mentre altri, che non credono alla medaglietta e neppure al cornetto, e magari non temono la reazione dei fedeli o della Chiesa, pensano: “Chi me lo fa fare? E se l'inferno esistesse? Non si sa mai”.

Miriam Della Croce

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