Monti rimborsa a Morgan and Stanley 3,4 miliardi di dollari

Ho discusso la scorsa settimana una interpellanza urgente al Ministro dell’Economia sulla vicenda del rimborso di 3,4 miliardi di dollari, fatto dal governo italiano alla società finanziaria americana Morgan and Stanley per la chiusura di un contratto derivato in possesso del governo. Di seguito potete leggere la discussione dell’interpellanza, con la risposta del governo e la mia replica.
RESIDENTE. L’onorevole Borghesi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01385, concernente informazioni circa l’incidenza degli strumenti finanziari derivati nell’ambito della complessiva esposizione debitoria dello Stato italiano
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, qui è emerso in via indiretta che più o meno all’Epifania di quest’anno il Governo italiano avrebbe rimborsato a Morgan Stanley per una
riesposizione in swap un importo di 3,4 miliardi di dollari. Quindi, si tratta di una cifra molto, molto elevata. Questo fatto, che è emerso indirettamente attraverso delle comunicazioni fatte da Morgan Stanley alla SEC americana, ha fatto ritornare in primo piano la questione dell’uso e del ricorso ai derivati da parte del Governo italiano, sul quale c’è sempre stata una grande opacità e mancanza di trasparenza. Noi su questo vogliamo chiedere conto al Governo. Addirittura, The New York Times un anno fa ha sostenuto che, a partire dal 1996, l’Italia avrebbe truccato i propri conti utilizzando derivati grazie proprio all’aiuto di Morgan Stanley. Secondo EUROSTAT, il Ministero dell’economia tra il 1998 e il 2008 avrebbe grandemente fatto ricorso ai derivati con ovviamente, come per tutti i derivati, momenti
in cui questo ha dato dei vantaggi – più o meno fino al 2006 – ma poi ha iniziato a determinare delle perdite. Il problema è che qualcuno parla di 30 miliardi di euro che sarebbero investiti da parte del Governo italiano in derivati. Riteniamo sia giusto che il popolo italiano e noi si sia a conoscenza in modo trasparente della situazione, in particolare se è vero che a Morgan Stanley è stato fatto questo versamento in un momento così difficile per il nostro Paese per permettere a questa società di ridurre la sua esposizione verso lo Stato italiano di una cifra così rilevante e se è vero che questa operazione in realtà sarebbe stata agevolata da una triangolazione con il gruppo Intesa.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca, Marco Rossi Doria, ha facoltà di rispondere.
MARCO ROSSI DORIA, Sottosegretariodi Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca. Signor Presidente, con l’interpellanza urgente l’onorevole Borghesi ed altri pongono quesiti in ordine alla reale composizione del debito pubblico italiano. Al riguardo, si fa presente che uno degli
obiettivi principali nella gestione del debito pubblico è la minimizzazione dell’onere del servizio del debito e i rischi ad esso associati, principalmente i rischi di un aumento dei tassi di mercato. Per questo, a partire dagli anni Novanta, si è perseguito l’allungamento della vita media del debito pubblico che, tra l’altro, ha consentito di limitare l’impatto della crisi del debito sovrano nel recente passato.
Infatti, il passaggio da una preponderanza di emissioni a brevissima scadenza indicizzati e a parametri variabili – BOT e CCT – a una forte presenza nel comparto a tasso fisso dai 3 ai 30 anni – i BTP
– ha consentito di limitare il rischio di dover rifinanziare una grande quantità di titoli a breve termine con tassi in aumento. L’attività in derivati del Tesoro, autorizzata per legge fin dal 1984 ed espletata per il tramite di banche specialiste di titoli di Stato, si è concentrata proprio nella copertura dal rischio di tasso di interesse con l’utilizzo, peraltro molto limitato in proporzione allo stock di debito, di strumenti standard, come gli interest rate swap, con i quali tipicamente il Tesoro riceve da una controparte bancaria un tasso variabile e paga un tasso fisso su un nozionale convenzionale prestabilito. L’altra grande tipologia di strumento derivato utilizzato per la gestione del debito è quella dei cross currency swap, con i quali si sono riportate in euro le passività contratte in valuta sui mercati internazionali, emissioni che, dopo swap, hanno consentito al Tesoro di finanziarsi a tassi inferiori rispetto alle corrispettive scadenze
in euro. Infine, uno strumento derivato del tutto marginalmente presente nel portafoglio della Repubblica sono le swaption, opzioni con le quali si vende alla controparte il diritto di entrare in un interest rate swap in data futura. Ad oggi il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammonta a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. Quindi, il nozionale ammonta, per rispondere alla domanda, a circa il 10 per cento dei titoli in circolazione. Degli strumenti derivati in essere circa 100 miliardi sono interest rate swap, 36 miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi degli swap ex ISPA. I 36 miliardi di euro di nozionale dei cross currency swap corrispondono alla quasi
totalità dei titoli emessi nel corso degli anni in valuta non euro, sotto il programma delle missioni internazionali. Pertanto, la quasi totalità delle missioni estere sono state coperte dal rischio valutario.
In data 27 dicembre 2006 l’insieme delle passività contratte da ISPA, sia in forma di titoli sia di mutuo, nonché i contratti derivati a loro associati, sono stati trasferiti, per legge, alla Repubblica. In particolare, gli interest rate swap presentano un tasso a pagare medio ponderato a carico della Repubblica che è inferiore a quello pagato sul debito di durata comparabile. Con questi swap il Tesoro si è immunizzato, dunque, dai rialzi dei tassi di interesse sulla parte di nozionale interessata, contribuendo all’allungamento della durata finanziaria del proprio debito. Risulta, peraltro, fuorviante associare
ai derivati, nella forma e nelle modalità utilizzate dal Tesoro nell’ambito della gestione del debito pubblico, il concetto di guadagno o perdita. Infatti, coerentemente con la finalità di utilizzo dei derivati e in considerazione del loro limitato ammontare relativo allo stock di debito esistente, per ogni anno si sono verificati – e si verificheranno in futuro – differenziali positivi o negativi tra quanto pagato e
quanto incassato, derivanti dall’andamento dei parametri di indicizzazione della gamma variabile (generalmente l’Euribor), che sono riportati annualmente con chiarezza nei documenti statistici ufficiali.
In merito al valore di mercato del « portafoglio derivati » della Repubblica italiana, si precisa che lo stesso è definito come il valore attuale dei flussi futuri scontati al presente e che varia continuamente
al variare sia del livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi, un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato
sovrano risulta essere limitata. Qualora un titolo di Stato dopo la sua emissione, a seguito di una diminuzione dei tassi di mercato, si trovasse a presentare un prezzo al di sopra della pari – 100, che è il valore di rimborso e quello a cui viene contabilizzato il debito contratto dallo Stato con la sua emissione –, allora si dovrebbe contabilizzare a tale valore superiore, definendo così un aumento del debito che non corrisponde ad un incremento effettivo dell’impegno dello Stato nei confronti dei creditori.
Specularmente, si verifica l’opposto in caso di aumento dei tassi di mercato. Appare evidente l’incongruità, dato che il debito è sempre pari a cento, a meno che non si proceda ad un riacquisto pagando il prezzo di mercato sotto la pari. A differenza di un titolo di Stato, gli swap di tasso d’interesse non sono debiti che devono essere ripagati a scadenza, ma solo scambi di flussi su un nozionale
convenzionale, la cui chiusura anticipata può essere effettuata esclusivamente su base volontaria e consensuale, da parte di entrambe le controparti coinvolte, a meno di precise clausole contrattuali che predetermino un evento di chiusura anticipata. Per quanto riguarda, in particolare, la vicenda relativa alla Morgan Stanley, riportata da alcuni organi di stampa e richiamata nell’interpellanza, si fa presente
che alla fine del 2011 e con regolamento il Ministero dell’economia e delle finanze, in data 3 gennaio 2012, ha proceduto alla chiusura di alcuni derivati in essere con Morgan Stanley (due interest rate swap e due swaption) in conseguenza di una clausola di « Additional Termination Event » presente nel contratto quadro (ISDA Master Agreement) che regolava i rapporti tra la Repubblica Italiana e la
banca in questione. Tale clausola, risalente alla data di stipula del contratto, nel 1994, era unica e
non presente in nessun altro contratto quadro vigente tra il Ministero e le sue controparti, e non è stato possibile, nel corso degli ultimi anni, rinegoziare la stessa. In virtù di tale clausola, si è proceduto
alla chiusura anticipata di alcuni derivati con Morgan Stanley, regolandone il controvalore
in 2,567 miliardi senza il coinvolgimento di terze parti. In merito alle affermazioni ed alle questioni poste a proposito dei cosiddetti credit default swap riguardanti la Repubblica italiana come emittente di debito, si riporta una tabella aggiornata al 24 febbraio 2012 (stessa fonte dei dati riportati nell’interpellanza e nei citati articoli di stampa), dalla quale risulterà evidente come non ci sia una particolare rilevanza
delle posizioni nette in credit default swap circolanti sul debito italiano, con Paesi come la Francia e la Germania che, oltre ad avere un nozionale dello stesso ordine di grandezza di quello italiano, mostrano
un rapporto sul debito esistente maggiore del caso italiano.
PRESIDENTE. L’onorevole Borghesi ha facoltà di replicare.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, mi dichiaro in parte soddisfatto e in parte no. In parte soddisfatto perché finalmente abbiamo alcuni dati precisi che il sottosegretario ha
elencato e che ci fanno capire che, comunque, il nostro Paese ha un’esposizione in derivati che non è piccolissima: alla fine, parliamo di circa il 10 per cento dell’ammontare complessivo dei titoli e, in un periodo in cui i derivati possono portare a situazione di difficoltà, certamente qualche problema e qualche necessità di monitoraggio immagino che vi sia. Non sono, invece, soddisfatto della risposta
che riguarda la chiusura anticipata e spiego perché. Quasi sempre in quel tipo di contrattazioni è lasciata la possibilità di una chiusura anticipata e volontaria – quindi dipende dalla volontà delle parti di
procedervi – e non dobbiamo dimenticare che in quel particolare momento, un momento molto difficile per il nostro Paese, anche altri Paesi avevano cercato di liberarsi delle posizioni debitorie verso di noi,
la Germania, le banche tedesche, in particolare – mi pare – di qualcosa come 7 miliardi di euro, quindi di qualcosa di assolutamente rilevante. Dunque, l’idea che ci sia stata una chiusura volontaria anticipata della posizione può dare adito a qualche riflessione che tiene conto anche dei soggetti interessati da questa operazione. Per carità, nessuno pensa che sia un delitto il fatto che il figlio del Presidente del Consiglio lavori per Morgan Stanley e che il capo country manager per Morgan Stanley in Italia sia Domenico Siniscalco, che è stato Ministro dell’economia e delle finanze in un precedente Governo Berlusconi. Lei esclude che ci sia una terza parte, qualcuno parlava di Banca Intesa il cui amministratore delegato oggi è Ministro di questa Repubblica.
Certo, la trasparenza in questi casi è necessaria perché da qui ad un ipotetico conflitto d’interessi – che basta che sia ipotetico per essere negativo – qualche ragionamento dovrebbe pur essere fatto.

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