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Il tormento dei santi in paradiso

D. La Repubblica 3 marzo 2012
Il tormento dei santi in paradiso
I santi pagherebbero tutto l'oro del paradiso per avere la possibilità di intervenire sui fenomeni naturali terreni. Eviterebbero volentieri, ad esempio, che un fulmine bruci un bambino che gioca sotto un albero, oppure che inondazioni, uragani, eruzioni vulcaniche facciano stragi. Ma niente da fare, miracoli del genere sono tassativamente vietati. L'unica possibilità d'interventi sulla natura, è far piangere lacrime di sangue a statuine di gesso. E anche questo miracolo ha limiti precisi: è possibile far sgorgare una lacrimuccia ogni tanto, ora sì ora no, ma non continuamente, magari per un'intera giornata. I santi, essendo santi, farebbero volentieri mille miracoli di guarigione al giorno. Se fosse per loro, farebbero un miracolo planetario: tutti i malati gravi di questo mondo, ma anche quelli non gravi, sarebbero guariti in un solo momento. Si svuoterebbero gli ospedali di tutta la terra. E invece in paradiso ci sono regole ben precise: non più di un certo numero di miracoli, numero proporzionato alla fama del santo e alla quantità dei devoti che lo pregano e la grazia (eliminazione di una disgrazia) solo a chi la merita e prega con vera fede. Sino a che si tratta di adulti, la difficoltà per i santi non sarebbe insormontabile, ma ciò che li mette in crisi è essere costretti a fare una scelta tra i bambini. I bimbi sono tutti uguali e non c'è certo bisogno che preghino per sentire la necessità di salvarli. Un vero tormento per i poveri santi: vorrebbero salvare tutti i bimbi del mondo e sono costretti a scegliere a casaccio ora questo ora quello e ad abbandonare gli altri al loro triste destino. Un tormento tale che, per i santi, il paradiso è una sorta di un purgatorio, quasi un inferno.

Miriam Della Croce

Risposta di Umberto Galimberti
È inutile alzare gli occhi al cielo se il cielo è vuoto

Se il problema che lei vuol porre con la sua lettera è perché Dio e i santi, da lui chiamati in cielo, se sono buoni, tollerano il male nel mondo, le devo dire che non mi aggiungo a tutti quei filosofi e teologi che intorno a questo tema si sono tormentati per secoli, cercando di far concordare tra loro concetti come libertà, libero arbitrio, provvidenza, predestinazione e quant'altro. Su questo tema preferisco seguire il racconto di Platone là dove, nel Politico (272d – 273e), riferisce che, quando a seguito del “grande capovolgimento (méghiste metabolé)” che ha invertito la direzione degli astri, Dio abbandonò il timone del mondo, gli uomini, lasciati soli, furono soccorsi con il dono delle tecniche, che, per quanto utili, non mancarono di rivelare tutta la loro insufficienza, senza quella “tecnica regia (basilikè téchne)”, la politica, che tutte le coordina a partire dall'idea di bene comune. E allora, se seguiamo questa narrazione, la domanda sui mali nel mondo non va rivolta ai santi o a Dio, ma alla politica, da cui dipende la cura dell'ambiente, la distribuzione della ricchezza, l'educazione dei bambini e degli adolescenti ai valori che reggono la comunità, i servizi sanitari che abbiano in vista la salute e non solo il risparmio o peggio il profitto, fino ad allargare l'orizzonte ai problemi della fame nel mondo, ai problemi della schiavitù e all'abolizione di quel male radicale che è la guerra. È alla politica che dobbiamo chiedere queste cose, e non ai santi o a Dio, perché la fede nei miracoli risponde solo al desiderio infantile di vedere d'incanto risolti i nostri problemi e realizzati istantaneamente i nostri desideri. Perché l'età dell'oro, che metaforicamente riproduce l'età dell'infanzia, l'umanità l'ha lasciata da tempo alle spalle, anche perché forse tanto aurea non era. Ed è per questo che ha inventato la storia come emancipazione dall'indigenza e dalla miseria. Solo che, lungo la storia, quello che si è trascurato è il “progresso” come miglioramento delle condizioni della vita umana, perché lo si è confuso con lo “sviluppo”, ossia con il semplice potenziamento delle disponibilità tecniche, che Platone giudicava insufficienti se non governate dalla politica, la quale, a differenza della tecnica che sa come si fanno le cose, dispone se e a che scopo si devono fare. Purtroppo oggi la politica non è più il luogo della decisione, perché, per decidere, la politica guarda l'economia, che a sua volta per investire guarda alle risorse tecnologiche, per cui luogo della decisione è diventata la tecnica. A questo punto abbiamo bisogno di un nuovo “grande capovolgimento” che subordini la tecnica alla politica. E solo allora potremo risolvere, se non tutti, certo molti mali nel mondo.

Replica di Miriam Della Croce

No, gentile filosofo, il senso della mia lettera non era quello da lei ipotizzato. Ironizzavo semplicemente sull'assurda credenza che sulla terra avvengano miracoli di guarigione per opera di Dio, del santi e della Madonna.

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