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A Melfi con i tre operai della Fiat reintegrati da una sentenza. Ora in Parlamento per chiedere al Governo giustizia sociale

Sono stato allo stabilimento Fiat di Melfi insieme ai tre operai, iscritti alla Fiom, ingiustamente licenziati ormai quasi due anni fa e reintegrati da una recente sentenza di appello. Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli vogliono solo lavorare, invece Sergio Marchionne vuole fare il padrone delle ferriere. È chiaro che l’IdV sta dalla parte di chi svolge con dignità la propria professione e chiede il rispetto dei propri diritti. Non mi fermerò qui, porterò la protesta in Parlamento per difendere l’articolo 1 della Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. A Melfi questo sacrosanto principio rischia di essere calpestato.

Non c’è democrazia se la Fiat emargina una sigla sindacale e arriva addirittura a licenziare tre persone perché iscritte alla Fiom. Non si rispetta l’articolo 1 della Costituzione se l’azienda mortifica i tre operai impedendogli di riprendere a lavorare. Tutto questo non lo possiamo accettare. Lo sciopero è un diritto, ma quello a cui Barozzino, Lamorte e Pignatelli hanno partecipato nell’estate del 2010 è stato evidentemente considerato un affronto dalla Fiat, che ne ha disposto il licenziamento. Un mese dopo il giudice del lavoro ne ha invece ordinato il reintegro, ravvisando nella decisione dell’azienda un comportamento antisindacale. Ma l’azienda ha continuato ad invitarli a restare a casa con un accanimento inqualificabile. Nel luglio 2011 fu accolto il ricorso della Fiat, i tre operai hanno continuato ad avere fiducia nella giustizia e hanno aspettato il secondo grado di giudizio. Ora la Corte di appello di Potenza ne ha disposto il reintrego, l’azienda non può insultare questa sentenza e ha il preciso dovere di applicarla.

Marchionne non guida una Repubblica indipendente e deve rispettare i poteri dello Stato, magistratura compresa. Porteremo in Parlamento il comportamento inaccettabile dell’azienda perché il Governo non può rimanere a dormire ed essere quindi connivente con la politica vessatoria di Marchionne. La Fiat, nelle mani del manager italo-canadese, non si illuda di poter fare il bello e il cattivo tempo minacciando la chiusura degli stabilimenti dopo la pioggia di soldi arrivati dallo Stato in cambio di precisi impegni.

Insieme a Giovanni, Antonio e Marco c’erano l’IdV, i delegati della Fiom ma anche la società civile. Abbiamo protestato davanti ai cancelli di uno stabilimento che ha rappresentato una speranza per la Basilicata, sul piano economico e occupazionale. Abbiamo protestato perché quella fabbrica, in cui lavorano migliaia di persone, deve continuare ad essere occasione di sviluppo e non di speculazione. La Fiat è una realtà importante del sistema produttivo del Paese, ma non è certo padrona degli italiani. L’accanimento nei confronti dei tre operai dimostrato da Marchionne è l’emblema di una situazione lavorativa inaccettabile negli stabilimenti Fiat, dove alle vessazioni si affiancano addirittura minacce di morte. Mi chiedo se gli ispettori del lavoro stiano pensando anche loro di farsi un giro dalle parti di Melfi, se hanno bisogno di un sollecito vuol dire che c’è un altro problema: l’inerzia diventa connivenza.

Denunceremo con forza in Parlamento il comportamento inaccettabile della Fiat, il Governo non può rimanere immobile ed essere quindi corresponsaibile della politica di Marchionne. Lo è già stato il precedente Esecutivo, sarebbe indegno che lo facesse anche questo Governo che passa come quello dei tecnici al lavoro per il bene del Paese. La politica deve vigilare sugli interessi dei lavoratori e non può badare solo a quelli dei poteri forti. L’Italia dei Valori continuerà a battersi perché le vessazioni illegittime sul posto di lavoro che avvengono negli stabilimenti Fiat finiscano una volta per tutte.

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