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ARTICOLO 18 E NUMERO15

L’occupazione in Italia è arrivata a livelli di guardia e ogni spunto è valido per innescare polemiche che non risolvono; neppure politicamente. S’è scritto di crepuscolo del posto di lavoro “fisso”. Nessuno, almeno in questi 100 giorni di Governo Monti, ha speso una parola sulla disillusione che attanaglia migliaia di giovani senza un’occupazione; senza, neppure, le premesse per poterla avere in seguito. Facendo alcuni conti, circa il 30% dei giovani tra 18 e 25 anni) è alla ricerca di una qualche occupazione. Questo è quanto. Ora ci si arrovella sulla possibile modifica dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ci ha pensato il Professore a portare alla ribalta una realtà tipicamente italiana. Intanto, i lavoratori dipendenti nel Bel Paese sono, circa, 12.000.000. Il 64% di questa forza lavoro è occupata in aziende con più di 15 dipendenti. Il restante 36% lavora in aziende con meno di 15 dipendenti. L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, proprio quello che Monti vuole rivedere non oltre la fine del mese prossimo, prevede, in buona sintesi, la reintegrazione del lavoratore licenziato, ove sussista una giusta causa, solo per le aziende con più di 15 lavoratori. Un siffatto meccanismo non è presente in nessun altro Stato UE e non applicabile alle aziende con meno di 15 dipendenti che, appunto, rappresentano il 36% delle imprese nazionali. Quindi, il succitato articolo non rende, in nessun caso, il lavoro a tempo “indeterminato” se l’azienda dimostra, dati alla mano d’essere in crisi. Perché, in ogni caso, andrebbero a scattare altri ammortizzatori sociali. Per chi c’intende, tutte le scuse sono buone per perorare una causa che è stata impostata col piede sbagliato. La linea dura del Governo sembra non ammorbidibile, ma, non riteniamo, che debba incrinare i rapporti, già abbastanza deteriorati, tra l’Esecutivo e le Forze Sociali. Confortati dall’assunto che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro; l’importante è che sia sempre rispettata una pari dignità da parte di chi offre e chi chiede. Imprenditore e Lavoratore sono parti di un tessuto sociale che non può fare a meno l’uno dell’altro. Questa è, almeno, la nostra principale convinzione. Del resto, proprio per il nostro ruolo nello scacchiere europeo, il mondo del lavoro nazionale ha da aprire anche agli imprenditori d’oltre frontiera. Di conseguenza, le regole dello statuto dovrebbero essere equiparare a quelle, almeno, dei Paesi membri UE. Negli anni, poi, ci siamo resi conto che non ciò che è scritto sulla carta si concretizza nei fatti. Anche senza l’articolo 18, se i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore s’incrinano, la giustizia è tanto lenta che il licenziato è obbligato, nell’attesa del giudizio, a reperire altra occupazione. Monti dovrebbe, semmai, rendere più spedite le procedure per la tutela d’entrambe le parti in causa. Già abbiamo scritto sulla caducità del posto “fisso”, ma siamo preoccupati per chi non ne ha avuto neppure uno a “tempo determinato”. Allora, prima di enunciare certe affermazioni sarebbe opportuno guardarci indietro e fare un esame di coscienza sul nostro passato. La tutela del lavoratore, oggi come ieri, resta un fatto più formale che sostanziale. La stessa frammentazione delle Forze Sociali è una tangibile prova del nostro punto di vista. Se l’art. 18 del vecchio Statuto dei Lavoratori non funziona più, non c’è che da modificarlo. Rendendolo, però, più attuale al mercato del lavoro della “nuova” Italia che verrà. In altri termini, secondo noi, l’articolo in questione dovrebbe essere esteso a tutti su differenti principi meritocratici dei quali si è scritto molto, ma si messo in pratica poco. Giorgio Brignola

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