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UNA RIFLESSIONE A POSTERIORI

E’ dal 1960, con prove documentali alla mano, che c’interessiamo ai casi dei Connazionali all’estero. Abbiamo iniziato che questa fitta Umanità era già di seconda Generazione. Ora, almeno sotto l’aspetto temporale, siamo arrivati alla quarta. Tanto per evitare incertezze, ci riferiamo a periodi trentennali con inizio dal 1900. La prima Generazione si è conclusa nel 1930, la seconda nel 1960, la terza nel 1990 e questa quarta raggiungerà il traguardo nel 2020. In pratica tra meno di nove anni. Ciò anche per evidenziare spazi generazioni attendibili. Negli anni Trenta non eravamo neppure nati. Per gli anni Sessanta ci rammentiamo, però, delle valigie di cartone, dei treni superaffollati che portavano per l’Europa uomini e donne d’Italia alla ricerca di quel futuro che in Patria non erano riusciti a realizzare. Tempi difficili. Chi li ha vissuti potrà dare conferma di questa realtà che, ora, sembra tanto lontana. La nostra Emigrazione, conclusa l’epopea dei bastimenti salpanti per “terre assai lontane”, dopo il secondo conflitto mondiale, si è riversata nel Vecchio Continente. Le mete erano Paesi più vicini all’Italia; ma per chi partiva lontanissimi. Con la Seconda generazione di migranti, il processo d’integrazione, con la realtà dei Paesi ospiti, si poteva considerare espressamente iniziato. Con i nati in terra straniera, già si profilava la Terza generazione. Perfettamente adattata allo stile di vita della terra che l’ha vista nascere. Dei milioni d’italiani e figli d’italiani nel mondo, solo poco più di quattro milioni hanno mantenuto la nostra cittadinanza, magari acquisendo anche quella del Paese ospite. Questa premessa l’abbiamo voluta sintetizzare per evidenziare che, indipendentemente dai tempi e dalle generazioni, gli italiani oltre confine hanno sempre dovuto dipendere, per i loro problemi in Patria, dalle normative partorite per i residenti nel Bel Paese. Il voto politico è sempre stato consentito; ma chi lo ha esercitato non è riuscito ad aiutare nessun cambiamento per l’Italia oltre confine. La legge che consente il voto dei Connazionali direttamente dalla loro residenza all’estero, è stata una “goccia” che non poteva riempire un “mare”. Sono passati più di dieci anni dal tardivo riconoscimento, ma, in pratica, è cambiato solo il concetto di rappresentatività. Neppure in modo originale. Gli eletti nella Circoscrizione Estero non sono altro che parlamentari inquadrati nella scacchiera dei partiti politici nazionali. Dei quali, gioco forza, sono tenuti a seguire le sorti. In questi ultimi anni, anche tribolate. Insomma, per gli italiani all’estero si sono sprecate poche parole, ma per i fatti la prospettiva non è stata migliore. Ci siamo resi conto che, pur mancando l’equiparazione di certi diritti, l’adeguamento ai doveri è stato rapido e neppure concordata con chi n’è diretto interessato. Ora c’è la volontà, sembra definitiva, di voler cambiare la nostra legge elettorale che, con l’attuale sistema maggioritario/proporzionale, non ha favorito neppure gli eleggibili dall’estero. La formula 12+6, forse, potrebbe essere inclusa nella nuova normativa della quale conosciamo ancora pochi perché già, più volte, denaturata dai gruppi parlamentari “pro” o “contro”. Dato che i politici sanno esercitare il loro mestiere, non siamo nella posizione di dare dei consigli. Solo vogliamo sperare che gli italiani all’estero, che non sono più degli sprovveduti, facciano intendere a chi li rappresenta a Roma che la riforma elettorale non li deve tagliare fuori. Il diritto di voto, correlato solo alla cittadinanza, potrebbe anche supporre la presenza di un partito degli italiani dall’estero capace di concretizzare il suo ruolo senza, necessariamente, dover essere parte di strutture politiche nazionali che, tra l’altro, sono anche in camaleontica trasformazione.

Giorgio Brignola

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