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Il caso Umberto I e la Sanità  da rifondare

Se il grado di civiltà di un Paese si misura anche dal livello delle prestazioni sanitarie che offre ai cittadini, allora in Italia siamo messi veramente male. Non che ci fosse bisogno di conferme, ma quanto è successo a Roma è la fedele e impietosa fotografia di un sistema allo sfascio: al pronto soccorso del Policlinico Umberto I, una donna in coma dopo un trauma cranico è stata trovata dai senatori Marino e Gramazio legata a una barella con delle lenzuola e senza nutrizione da quattro giorni, in attesa che si liberasse un posto letto.

Una vicenda di una gravità inaudita, una vergogna indegna di un Paese che vuole dirsi civile. Il diritto alla salute è riconosciuto dalla nostra Costituzione come un diritto inalienabile dell’individuo, all’art. 32 è infatti scritto: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce le cure agli indigenti”. All’Umberto I è stato dunque negato un diritto costituzionale a una donna e non c’è giustificazione che tenga.

Il problema è che anni di politiche fallimentari e di commistioni di interessi hanno ridotto la sanità pubblica allo stremo. Il primo malato grave, oggi, in Italia, è proprio il sistema sanitario. Ma cosa è successo? E’ successo che invece di fare riforme serie, di tagliare le spese inutili e i tanti sprechi, si è lasciato campo libero a vergognosi giochi di potere e si è agito con tagli indiscriminati, ottenendo come unico risultato la riduzione di posti letto, la chiusura di diversi ospedali, il blocco degli investimenti e delle assunzioni. Ossia, un servizio del tutto inefficiente, come dimostra il caso di Roma, mentre i punti di eccellenza non riescono a nascondere intrallazzi, clientelismi, sprechi, corruzione.

Il punto è che l’idea della Sanità pubblica come costo si è rivelata fallimentare, è ora di considerarla un investimento. Bisogna tornare a dare risorse al comparto, ma bisogna farlo attraverso scelte e strategie nuove. Una delle priorità è riscrivere il meccanismo di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie: la selezione non può essere politica ma deve essere affidata a organismi terzi, realmente indipendenti, altrimenti si rischia di mettere una toppa peggiore del buco. Solo così si può scardinare il sistema della malasanità che porta disservizi, spese più alte e, inevitabilmente, tagli ai servizi. Solo così si può tornare a garantire ai cittadini il diritto alla salute, come è scritto nella Costituzione.

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