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CRISI ECONOMICA E PROCESSO COSTITUENTE EUROPEO. LE BASI DEL NUOVO CORSO

1)La stampa di orientamento liberal-socialista torna sempre più spesso sullo strano caso “Argentina”: il paese latino-americano, dopo la conclamata situazione di default, è ora interessato a un ciclo di ripresa economica. Anche il Brasile, prima di affidarsi alla social-democrazia di Lula, era in ginocchio: le ricette dei social-democratici non sono state esattamente parsimoniose in termini di spesa pubblica. Perciò, si fa strada l’idea che il rigorismo imposto dal sistema delle banche centrali in Europa non sia esattamente la migliore strada percorribile per uscire dalla crisi. In realtà, le differenze tra Sud-America ed Europa continentale, in termini sia micro che macroeconomici, non sono secondarie; perciò, imporsi a vicenda di seguire le stesse tattiche, quando funzionano in un luogo o nell’altro, è un’operazione veramente illusoria. Quel che è certo, però, è che la strada dell’austerità a tutti i costi non sembra poi così felice. Non sta ovviamente pagando in Grecia, dove ogni tipo di risanamento è affidato a un drastico taglio di spesa: tanto forte, in questo medio-breve periodo, da soffocare ogni speranza di crescita. Paga, in termini di credibilità internazionale, si, ma in termini di crescita interna, no, in Italia. Anche gli alfieri della politica del rigido controllo, come Francia, Germania e, in misura minore, Inghilterra, segnano i loro colpi a vuoto. Basta con le metafore cinematografiche: “la morte ti fa bella”, accettare il default potrebbe essere una manna… La difesa di itinerari riformistici, di serietà e trasparenza contabile, ha un suo valore. Tuttavia, appare quanto mai scentrato pensare di concretizzarle a prescindere dal diretto coinvolgimento dell’elemento demos, dalla enucleazione di nuovi canali di partecipazione, distinti da quelli tradizionali, sovente (a torto o a ragione) limitati da attuazioni sul campo, e non sempre corrette, dell’analisi economica del diritto. Piaccia o non piaccia, il dibattito è ancora fermo, su questi temi, al referendum francese sulla ratifica della Costituzione europea: la messa a valore della stabilità mercatista poco ha a che vedere coi movimenti libertari, con gli stimoli alla crescita, con la decantata affermazione di un nuovo welfare sussidiario e mutualista, ancora lungi da una sua discesa in campo.

2)La parola d’ordine è “ Austerity”. È a questa politica che l’Europa tutta deve uniformarsi per tentare di continuare a percorrere insieme quel cammino intrapreso da ormai sessant’anni.
Il popolo europeo continua ad indignarsi e a manifestare il suo dissenso nei confronti di misure e azioni di governo che ancora una volta ricadranno come un pesante macigno sulle fasce di popolazione già gravate da altri pesi.
I capi di stato e di governo non fanno altro che ripetere ai loro connazionali la parola sacrificio, preannunciando tagli alle spese, riduzione del deficit di bilancio, riduzione di stipendi e pensioni, riduzione dei posti di lavoro ecc. In una parola riduzione della dignità umana. Si tratta, ci dicono, di azioni indefettibili e improcrastinabili che servono per scongiurare il peggio. L’ombra del fallimento spaventa tutti, l’economia è troppo interconnessa.
In questo clima è difficile parlare di scelte. Non si può certo dire che la decisione della Grecia sia stato il frutto di una libera scelta. L’alternativa tra tracollo e immani sacrifici è una non alternativa.
Tutto questo produce un’inarrestabile e implacabile idiosincrasia nei confronti di partiti e uomini di governo, i quali hanno presentato con troppa facilità un conto accumulato dai giochetti di una finanza pseudo liberale. Nessuno vuol sentire parlare di responsabilità e tutto viene mascherato con una preannunciata nemesi storica. Chi ha sbagliato non sta pagando e in certi casi è stato finanche premiato.
La recessione è iniziata ma non è cercando i colpevoli che ne usciremo fuori. I sacrifici e gli ulteriori sforzi dovranno servire a gettare le basi per la costruzione di un’Europa più equa, più solidale più democratica.
Per far questo però, è necessario che il popolo riprenda coscienza del ruolo fondamentale che esso ha nella determinazione e nella scelta delle basi che dovranno fondare il nuovo corso. Troppo spesso la democrazia si è risolta nella delegazione ad un potere che non ha conosciuto limiti, esercitato per raccogliere onore e sbarazzarsi degli oneri che da esso derivano. Questo dobbiamo rimproverarcelo. Certo, è difficile reagire quando le precarie condizioni di vita che stiamo vivendo impediscono ai più di avere orizzonti più lontani di una giornata ma rimanere in silenzio renderà più spesso quel rapporto di dipendenza che ci impedisce di scegliere.
Chi governa deve in qualche modo ritornare a pensare che l’esercizio del potere è un duro compito da svolgere. Ciò non può certo accadere se il popolo non fa sentire la presenza del suo occhio vigile, pronto a denunciare tutte le azioni che quotidianamente minacciano quella democrazia tanto predicata dalle nostre vigenti carte costituzionali.
Forse questa è un’occasione per fare del sogno di un’Europa democratica una realtà che genererà un nuovo mondo nel vecchio continente.

1)Domenico Bilotti
2)Emanuela Costanzo

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