di Franco Morganti
Quatta quatta, lemme lemme, l’Italia ha cambiato assetto istituzionale, senza rivoluzioni né riforme. Il 12 novembre scorso il governo Berlusconi ha incassato non già un voto di sfiducia, ma un voto di fiducia sulla legge di stabilità, espresso da 308 deputati della maggioranza, mentre le opposizioni non partecipavano al voto. Ma poiché 308 non fa 316 (maggioranza della Camera), questo è stato interpretato dal presidente della Repubblica come un voto di sfiducia. Con questo atto l’Italia è diventata una repubblica presidenziale.
Infatti subito dopo Napolitano, che aveva appena nominato Mario Monti senatore a vita trasformandolo in parlamentare, gli ha conferito un mandato esplorativo per la formazione di un governo che molti continuano a chiamare “tecnico”. Allo stesso modo François Fillon in Francia dovrebbe essere chiamato un premier “tecnico”: entrambi hanno avuto la fiducia del parlamento, ma la designazione del capo dello Stato. Napolitano è dunque un presidente alla francese (dopo la riforma De Gaulle) e infatti entra nei fatti quotidiani, nella politica estera, nell’analisi della manovra economica.
Anche in parlamento il governo Monti governa alla francese, dove, come è noto, se un decreto del governo non è approvato dalla Camera entro due mesi, diventa legge. Al contrario della seconda repubblica italiana che ha conservato le regole della prima: se un decreto legge non viene convertito in legge, decade. Monti però non poteva cambiare la Costituzione. Quindi presenta i suoi decreti-legge, raccoglie le centinaia di emendamenti e pone la fiducia, certo della maggioranza che lo sostiene, richiamata dal capo dello Stato al senso di responsabilità.
Il parlamento, apparentemente esautorato, ha trovato un suo ruolo nel discutere di un riassetto costituzionale e della legge elettorale. In pratica è diventato un’assemblea costituente, nobile compito.
E poi dicono che gli italiani sono immobilisti e non sanno riformarsi.
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