Site icon archivio di politicamentecorretto.com

Lo Spirito immortale di Louise Bourgeois

“Per poter andare avanti, bisogna prima aver fatto pace con il passato…” Louise Bourgeois

Scomparsa due anni fa, all’età di 98 anni, Louise Bourgeois artista francese con il suo lavoro ha percorso ed esplorato l’identità del secolo passato con dissacrante analisi anche introspettiva. Alcune delle sue innumerevoli opere, sono magistralmente apparse nell’intreccio filmico nell’ultima pellicola di Pedro Almodovar “ La pelle che abito”. Forme antropomorfe, sagome di stoffa lacerata e ricucita, che sottolineano ed affrontano il tema del disorientamento, restituendolo al prossimo, sottoforma di fantocci dal DNA stravolto, come la protagonista del film. Abiti dismessi, saturi di quotidianità che mutano la pelle e si trasformano in ricordi . “Vestirsi è anche un esercizio di memoria.. -dichiarava in una delle sue interviste- … mi fa esplorare il passato, come mi sentivo quando indossavo un certo abito ..” Artista che ha sempre affrontato con tenacia e coraggio il tema del dolore : “se non si riesce ad abbandonare il passato, allora bisogna ricrearlo, e’ quello che faccio da sempre”.

La maggior parte del suo lavoro è ruotato attorno al vissuto doloroso del passato legato alla sua famiglia, partendo dalla figura della madre, amata e detestata allo stesso tempo per la capacità di essere il sostentamento della famiglia, ma debole nell’accettare la relazione del marito con una domestica ed alla sua esperienza diretta di maternità. In “The woven Child” viene incarnata l’attività femminile per eccellenza del cucito, reso in modo cruento, ma l’opera che ferma l’attimo di separazione tra madre e figlio è “Do not abandoned me” .

Nel gigantismo di alcune sue installazioni, troviamo “Maman”, un grande Ragno, metafora della madre premurosa, dall’aspetto salvifico e protettore che tesse pazientemente la tela e che si ciba dei nugoli di zanzare portatrici di malattie, le stesse che avevano assillato l’artista, durante il soggiorno nel Connecticut e nei viaggi in Africa, una difesa contro la malattia e la morte, metafora della lotta tra il bene ed il male.
Inoltre, l’infinità di materiali utilizzati nel realizzare le sue opere, avevano creato un connubio tra cibo ed erotismo, elementi racchiusi in una gabbia di emozioni, nelle Celle dell’anima, icone disfunzionali cariche di tensione emotiva.

Parlava così di sé e del suo lavoro: “Sì, il talento è una maledizione, perché “sequestra” la vita, ma è anche, una benedizione, una consolazione. Quello che faccio, mi costa fatica e ha molto a che fare con la mia capacità di sopportare le privazioni.” … “Si è forgiati da ciò cui si resiste e dai fallimenti”. “Una donna non ha spazio come artista finché non ha ripetutamente dimostrato che non si lascerà eliminare”.

“Voglio essere padrona dei miei guai”… Il mio lavoro giovanile è paura di cadere. Poi è diventata l’arte di cadere. Cadere senza farsi male. Infine l’arte di non mollare”.

Exit mobile version