Sono morti entrambi ieri, in età e per cause molto diverse, entrambi registi, di differente qualità ed impegno, ma eccellenti nei loro campi professionali.
Lino Procacci, l’umbro più famoso della nostra Rai e Theo Angelopoulos, grande autore cinematografico con decine di premi vinti nel mondo, se ne sono andati; il primo a 88 anni, nella sua Foligno, il secondo investito da una motocicletta, mentre stava attraversando una strada di un paese dell’Attica.
Nato ad Atene nel 1935, Theodoros Angelopoulos, detto Theo, è cresciuto nella Grecia occupata della Seconda Guerra Mondiale e durante la successiva guerra civile (1946-49), esperienze che torneranno spesso nei suoi film.
Dopo gli studi di diritto, trasferitosi a Parigi, abbracciò con passione il cinema, esordendo, nel 1970 con Ricostruzione di un delitto, che ebbe una menzione speciale al Festival di Berlino.
Subito dopo realizzò una trilogia basata sulla storia greca dagli Anni Trenta agli Anni Settanta, composta da I giorni del '36 (1972); La recita (1975), incentrato sulle peripezie di una compagnia teatrale; e I cacciatori (1977), che invece aveva come protagonisti un gruppo di borghesi.
Già dal primo dei tre si evidenziano chiaramente i tratti salienti del suo stile: l'uso dei tempi morti, il piano sequenza, l'imposizione dell'inquadratura fissa e dello spazio off.
Nelle produzioni successive, Angelopulos definì ulteriormente il proprio modo, rifiutando il tradizionale passaggio dal passato al presente e con un racconto sempre acronologico.
Dopo svariati altri film (ed altri premi), più di recente, la trasposizione del romanzo di Albert Camus “L'exil et le royaume” dal titolo L'eternità e un giorno (1998), vincitore della Palma d'Oro e del premio ecumenico della giuria; film che ne ha fatto capire la portata autorale alle alle nuove generazioni.
Poi, il documentario A ciascuno il suo cinema e la prima e la seconda parte di una raffinata e lirica trilogia sulla Grecia del secolo scorso (dall'emigrazione greca del 1917 alla Russia bolscevica alla fine della Seconda Guerra Mondiale), composta da La sorgente del fiume (2004, premio FIPRESCI) con Michael Yannots e da La polvere del tempo (2008), con Michel Piccoli, mentre manca ancora (ed adesso per sempre), il terzo episodio.
Stava girando un film quando è stato investito, un film intitolato L’altro mare, storia di un padre (Toni Servillo) e di una figlia, di fronte alla crisi che stiamo vivendo.
“Il 20° secolo”, aveva dichiarato, “ha creato una speranza di cambiamento, ma adesso il sogno è svanito e ci troviamo a vivere in un vuoto che le nuove generazioni dovranno riempire di contenuti”.
Ora lui non ha più modo di cercarli quei contenuti.
Molto diversa la figura e la carriera di Lino Procacci, l’ideatore, nel 1976, del primo contenitore di intrattenimento domenicale, “Domenica in”, che aveva diretto fino all’82, per poi passare dietro le telecamere per “Il pranzo è servito”, con Corrado.
Autore di una televisione molto diversa da quella in onda oggi, in cui lo spettacolo non è trash o pornografia esibita, una televisione scomparsa o che resiste a brandelli, come (rara avis) con la Dandini & C. nel nuovo show del sabato su La7, Procacci era considerato un “principe”, per stile e per modi.
Originario di Abeto, frazione di Preci, in Valnerina, si era laureato in giurisprudenza a Roma e proprio nella Capitale aveva frequentare il mondo dello spettacolo, grazie al teatro universitario, dove recitò insieme ad Anna Proclemer.
Così, mentre parte la nona edizione de “L’isola dei famosi” con Margioglio e Luxuria, io ripenso alla tv di un tempo e torno a dirmi che sarebbe meglio spegnerlo per sempre quel contenitore di spazzatura.
Una televisione in corsa per creare il programma più stupido possibile basato su livelli culturali molto bassi, per far fronte al calo degli ascolti poiché ormai il pubblico, rintontito dall’immensa quantità di stupidaggini che è costretto a sorbirsi giornalmente, tende a guardare solo programmi frivoli, che ritiene molto più divertenti rispetto alle trasmissioni serie, che, pertanto, continuano a diminuire, lasciando spazio alle trasmissioni “trash”, dove l’uso del macabro, del voyeuristico e del turpiloquio, non sono più sconvenienti, ma valori aggiunti su cui puntare.