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Quirra, il poligono dei veleni

di Massimiliano Ferraro

Agnelli nati malformati, soldati e pastori ammalati di tumore o leucemia: è la “Sindrome di Quirra”, una lunga catena di morte che potrebbe collegare queste disgrazie con le attività militari svolte nel Poligono Sperimentale Interforze di Perdasdefogu-Salto di Quirra, in Sardegna. Dodici mila ettari di territorio selvaggio utilizzato fin dal 1956 per far esplodere tonnellate di armi, con possibili gravi danni alla salute dei cittadini e all’ambiente.

Situato nella parte centro-orientale dell’isola, il poligono di Quirra è il più grande campo di esercitazione di questo genere in Europa. È sede del Reparto di sperimentazione e standardizzazione del tiro aereo (RSSTA) e utilizzato per l’addestramento di soldati italiani e tedeschi. Ma la sua vera particolarità sembra essere di fatto un’altra: per cinquantamila euro all’ora anche i privati hanno potuto affittare un pezzo di queste colline a ridosso del mare al fine di testare nuovi armamenti. Note aziende belliche italiane, americane, britanniche e francesi hanno operato indisturbate per anni in questo angolo di provincia dell’Ogliastra, tra le colline e uno dei mari più belli d’Italia, facendo esplodere proiettili, bombe e missili.

Nessuno sa ancora con certezza quali armi siano state utilizzate su quei terreni. Non esiste nessun registro, ma è proprio questa mancanza di trasparenza, seppur consona agli schemi militari, ad aver fatto nascere il timore che siano passati dalla Sardegna anche degli arsenali non convenzionali, pensati per le più sporche e dimenticate guerre del pianeta. È questo il lato oscuro del poligono di Quirra, che con i suoi segreti inconfessabili è al centro da undici anni di denunce e sospetti.

Tutto ha avuto inizio nel 1999, quando la trasmissione televisiva Report dedicò un servizio alla base militare sarda. Un anno dopo, il deputato leghista Edouard Ballaman presentò una interrogazione parlamentare sulla possibilità di uno smaltimento segreto di armamenti pericolosi nei poligoni militari sardi. Poi più nulla, solo dicerie di paese su questo o quel parente che nonostante avesse vissuto tutta la vita all’aria aperta facendo il pastore era morto di cancro. Cose che succedono, si diceva. Eppure dieci anni si è ammalato di linfoma il 60% dei pastori che aveva condotto gli animali al pascolo tra le carcasse dei carri armati usati nel poligono come bersaglio. Dieci su diciotto. Malgrado ciò provare a suggerire una causa diversa come fattore comune di quegli eventi, come la vicinanza di tutti i soggetti al poligono, sembrava essere pura fantasia da romanzo. Come in “Perdas de Fogu”, libro noir basato sulle torbide vicende legate alla sperimentazione di armi a Quirra, scritto nel 2008 da Massimo Carlotto.

Intanto le malformazioni nel bestiame e soprattutto le malattie che hanno colpito gli abitanti delle zone militari di Quirra e dei vicini paesi di Escalaplano e Villaputzu si sono moltiplicate fino a diventare anomale, così a gennaio 2011 il procuratore di Lanusei, Domenico Fiordalisi, ha aperto un fascicolo per vederci chiaro. Un’inchiesta lunga e difficile anche per uno come Fiordalisi, uomo di legge calabrese abituato a confrontarsi con realtà poco disponibili a collaborare se non addirittura fortemente ostili.

In primo luogo il Ministero della Difesa con i suoi segreti militari, per cui il poligono è stato per anni una efficiente macchina da soldi. Poi i brevetti industriali delle aziende di armi coinvolte nelle sperimentazioni e infine la diffidenza di una parte dei cittadini dell’Ogliastra, anche loro irritati dal danno d’immagine che in queste terre si traduce subito in danno economico.

L’ipotesi di reato che nei primi dodici mesi di indagine ha permesso il sequestro del poligono è di omicidio colposo plurimo e riguarda la possibilità che per oltre quarant’anni l’area militare sia stata interessata da massicce operazioni finalizzate alla distruzione di ordigni che avrebbero avuto un forte impatto sull’ambiente circostante. Si calcola che circa 1200 missili siano stata sparati a Quirra tra il 1956 e il 2004. Oltre a questi potrebbero esserci poi delle armi ritenute “scomode”, da eliminare, come la partita di proiettili all’uranio impoverito acquistata nel 1985 e utilizzata solo in parte nella missione in Somalia nel 1993. È per questo che la procura continua a cercare elementi che confermino lo smaltimento in Sardegna del “metallo del disonore”. In questo frangente la pista più importante finora seguita porta direttamente ad un ufficiale in pensione che, secondo quanto ha riportato lo scorso giugno l’Unione Sarda, avrebbe ammesso il lancio di almeno un missile contenente uranio. Una versione contestata fermamente dagli organi della Difesa ma che sembrerebbe confermata da un video in cui si vede un missile Kormoran Due con testata all’uranio impoverito colpire un rimorchiatore di fronte alla coste di Quirra.
Utile per ricostruire le attività militari del poligono potrebbe anche essere la testimonianza rilasciata da un sottufficiale divenuto testimone della procura: «Per anni e anni abbiamo fatto esplodere 800 chili di esplosivo al giorno». Brillamenti capaci di sprigionare nubi nere e bianche, che raggiungevano Quirra o Escalaplano a seconda del vento. Nelle buche create nel terreno poi «si raccoglieva l’acqua delle piogge, si abbeverava il bestiame e poi i veleni filtravano nelle falde sotterranee».

A tutto questo si sommano altri racconti messi online dal sito vittimeuranio.com che «potrebbero essere approfonditi da chi sta indagando sul fenomeno». Sono tutti casi raccolti negli ultimi tre anni e che parlano di quattro persone morte e dieci gravemente malate: un bambino di un mese, figlio di un militare in forza al poligono, morto per un tumore al rene; un altro soldato e sua moglie deceduti a causa della stessa malattia. Ma l’uranio non è il solo indiziato per le malattie provocate dal poligono. C’è anche il torio, sprigionato al momento del lancio dai missili Milan, di fabbricazione francese. A luglio Fiordalisi ne ha chiesto il sequestro dopo che tracce di torio sono state trovate nel formaggio e nel miele provenienti da animali allevati all’interno dell’area militare.

Tuttavia arrivare ad una verità condivisa sul caso Quirra è tutt’altro che semplice. In molti non credono al nesso di casualità tra malattie e poligono. In fondo l’esistenza della “Sindrome di Quirra” si basa su un campione ristretto di malati, un numero esiguo se paragonato alle centinaia di soldati di istanza nella base. Per il resto l’Ogliastra è, dati alla mano, una regione caratterizzata da un’alta longevità. Quindi la “Sindrome di Quirra” non esisterebbe. Questa la versione gradita al Ministero della Difesa che per mesi ha tentato di «ridurre il livello di apprensione nella collettività» dando battaglia a colpi di perizie. Ad esempio il parere degli esperti militari e il risultato delle analisi compiute dal professor Paolo Randaccio, docente di fisica dell’Università di Cagliari, sui bersagli sequestrati nel poligono ha smentito qualsiasi traccia di uranio, pur evidenziando la presenza rilevante di veleni nel terreno. Quest’ultimo però, non è un dettaglio di poco conto per gli esperti dell’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), che all’inizio di marzo hanno fatto arrivare il loro parere sul tavolo del procuratore di Lanusei: «Gli elementi chimico-tossici presenti nei pascoli e nell’aria possono essere stati ingeriti o inalati da animali o persone» si legge, «e queste sostanze tossiche possono attaccare qualsiasi organo, anche la placenta o il feto, provocando tumori e malformazioni». Animali mostruosi, come l’agnello a due teste nato nell’area del poligono e studiato con esiti sorprendenti dal professor Massimo Zucchetti, consulente del procuratore di Lanusei e professore del Politecnico di Torino. «Abbiamo provveduto all’analisi delle ossa di questo agnello malformato e abbiamo trovato l’evidenza all’interno di queste ossa di uranio e non solo» ha detto Zucchetti a RaiNews24, «anche un rapporto isotopico fra l’uranio-234 e l’uranio-238 non compatibile con la presenza di uranio in natura. Questo non in Iraq, questo non in Libia, questo ad Escalaplano».

Ancora pareri contro pareri, mentre l’inchiesta del procuratore Fiordalisi procede a ritmo serrato. Il 6 dicembre sono stati riesumati i cadaveri di quindici pastori. A ciascun cadavere verrà prelevata una tibia per misurare l’eventuale radioattività da torio e uranio. I risultati saranno resi noti in primavera, ma intanto un nuovo caso di un agnello deforme è stato registrato nella zona del Poligono. L’hanno chiamato Polifemo perché è nato con un solo occhio al centro della testa. Nemmeno questa notizia ha allarmato più di tanto una certa parte dei pastori sardi: cose del genere capitano in natura, in tutte le parti del mondo e non è detto che siano legate alle attività del poligono. Ma contemporaneamente c’è chi si domanda come mai tutte le segnalazioni, spesso supportate da documentazioni scientifiche ufficiali, sulla presenza di nanoparticelle e metalli pesanti nell’ambiente e nella catena alimentare, siano state sempre sottovalutate. Sono le persone che una volta al mese si ritrovano a Cagliari per un sit-in di protesta con i parenti e gli amici dei militari morti a causa dell’uranio nel corso di missioni all’estero o nei poligoni della Sardegna. Quella che alcuni considerano una coincidenza o un triste destino, loro la chiamano “Sindrome di Quirra”.

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