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La bufala delle (finte) liberalizzazioni: gli ultimi vent’anni di liberalizzazioni sono costate agli italiani quasi 110 miliardi

Per le famiglie gli aumenti sono arrivati a 280 euro l’anno. Qui o si fa sul serio o è solo demagogia

Il tema caldo di politica economica degli ultimi giorni, le liberalizzazioni annunciate che costituiranno la fase 2 del governo Monti, quale base per il rilancio dello sviluppo a lungo termine del Nostro Paese, necessita di una riflessione attenta alla luce dei dati forniti dalla CGIA di Mestre proprio sulle liberalizzazioni susseguitesi negli ultimi vent’anni.

Secondo quanto rivelato dall’analisi in questione le aperture dei mercati delle assicurazioni, dei mezzi di trasporto, carburanti, gas, trasporti ferroviari e urbani e dei servizi finanziari avrebbero inciso sulle famiglie italiane per quasi 110 miliardi, non comportando, quindi, alcun vantaggio economico nei confronti dei consumatori cui i benefici dovevano essere rivolti.

Le uniche note positive verrebbero dal solo mercato dell'energia elettrica che avrebbe segnato dei miglioramenti.

Ciò che inquieta e che invita alla riflessione sulla necessità di evitare con i provvedimenti in corso di definizione danni maggiori per i consumatori rispetto alla situazione attuale, sono i dati relativi alle maggiori spese subite dalle famiglie a seguito di vent’anni di presunte ed annunciate liberalizzazioni: sarebbero ben 286 all'anno gli euro pagati in più all’anno dalle famiglie italiane che, moltiplicati per il numero degli anni trascorsi dall'avvio, agli inizi degli anni '90, delle aperture dei mercati di ogni singolo settore e sino al novembre scorso hanno fatto salire l'ammontare complessivo a 4.576 euro per nucleo familiare.

Ma venendo ai singoli settori, tra il 1994 e il novembre del 2011, le assicurazioni hanno pesato ben 2.462 euro in più nelle tasche delle famiglie italiane, con un aumento medio annuo pari a 154 euro.

Un altro mercato che ha colpito gravosamente i bilanci familiari è stato quello dei servizi finanziari (costo dei conti correnti, dei bancomat, commissioni varie e altro), con costi medi supplementari pari a 58 euro in più ogni anno con un aumento globale dal 1993 al novembre 2011 pari a 921 euro che, moltiplicati per il numero totale delle famiglie porterebbero alla spaventosa cifra di 21,9 miliardi di euro.

Tra gli ultimi mercati ad aver visto attuati provvedimenti liberalizzativi è da segnalare quello del gas che però come gli altri due descritti precedentemente non ha subito degli effetti positivi dalla parte degli utenti: dal 2003 al novembre 2011 gli aumenti medi totali per ogni famiglia corrispondono alla cifra di 901 euro con una crescita annua d’importo pari a 56 euro in più, e costi globali esorbitanti che arrivano a 22,1 miliardi di euro per tutte le famiglie.

Come detto, l’unico settore a salvarsi dagli esiti di quelle che appaiono come finte liberalizzazioni alla luce dei dati riportati, solo quello dell'energia elettrica dove nel complesso, il risparmio per le famiglie è stato di 6,7 miliardi di euro.

Per tali ragioni, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, condivide l’analisi del segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi secondo cui “in Italia le liberalizzazioni, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno funzionato. Prezzi o tariffe sono cresciuti, con buona pace di chi sosteneva che un mercato più concorrenziale avrebbe favorito il consumatore finale. Purtroppo in molti settori si è passati dal monopolio pubblico a vere e proprie oligarchie private”.

Secondo Giovanni D’Agata, sull’assunto di quanto sostenuto dal segretario della Cgia di Mestre, se aperture dei mercati vi devono essere, devono essere aperture reali, efficaci ed effettivamente in grado di portare reali vantaggi ai consumatori.

Non si può parlare di liberalizzazioni dei trasporti come quello urbano dei taxi o dell’orario di apertura dei negozi che potrebbero apparire come iniziative quasi demagogiche per non dire populistiche, se prima non s’interviene con vere liberalizzazioni nei confronti delle lobbies e delle corporazioni che dominano quasi incontrastate l’economia del paese quali assicurazioni, banche ed imprese del settore energetico.

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