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Liberalizzare non significa privatizzare

Non per far lezione ai professori in momentanea veste di ministri, ma ci auguriamo lo stesso che domani, prima di riunirsi per varare l’annunciato tsunami liberalizzatore, diano una ripassata al dizionario. Giusto per rammentare che la parola liberalizzazione non è affatto sinonimo di privatizzazione. Capita anzi, e non troppo di rado, che le due parole si pongano nella realtà effettiva come divergenti, a volte contrapposte.

Sulla carta, l’intenzione di arieggiare un mercato reso asfittico dalle corporazioni e strangolato dai monopoli è certamente buona e forse ottima. Tutto sta a essere certi che, nel trasferimento dal regno alato delle idee a quello terragno delle leggi, il nobile obiettivo non si trasformi in una più cinica opera di privatizzazione generalizzata dei beni e dei servizi.

Impedire alle corporazioni di sbarrare le porte e di vietare nuovi accessi per blindare privilegi ormai feudali è sacrosanto. Affidare ai privati i servizi essenziali, mantenendo inalterato il monopolio o tutt’al più sostituendolo con un oligopolio, sarebbe invece un insulto alla decenza.

La gente comune non ne otterrebbe beneficio alcuno: è anzi probabile che l’oligopolio privato si riveli ancor più esoso e vampiresco del monopolio pubblico. Il servizio non migliorerebbe affatto in automatico: lo sa bene chiunque abbia sperimentato la decadenza della metropolitana londinese, precipitata dopo la privatizzazione da modello di efficienza a disastro semovente. Non ci sarebbe alcuna spinta positiva allo sviluppo: a crescere sarebbero solo i profitti e i dividendi di chi già ne conta tanti da aver perso il conto.

In un caso, poi, la privatizzazione contrabbandata da liberalizzazione diventerebbe anche un intollerabile schiaffone appioppato in faccia alla democrazia e alla volontà popolare, qualora nel mirino finissero la gestione del servizio idrico. Non è passato un anno da quando un referendum popolare, a tutt’oggi il principale strumento di democrazia diretta che la Costituzione abbia previsto, ha sancito che l’acqua è un bene pubblico essenziale dal quale la logica del profitto deve tenere lontano i proprio avidi artigli. L’ intera comunità dei costituzionalisti ha confermato poi che il divieto si applica estensivamente a tutti i beni pubblici essenziali.

Da parte del governo non depone affatto bene l’aver permesso che circolassero voci non smentite sul possibile arrembaggio contro l’acqua pubblica nonostante il referendum. Possiamo solo augurarci che i professori/ministri abbiano evitato di smentire a voce per far parlare domani i fatti, dimostrando nella pratica la loro fedeltà alla Costituzione e al rispetto della volontà popolare.

In caso contrario, qualora dovessimo assistere a un tentativo di colpo di mano contro i beni pubblici, la linea di demarcazione tra questo governo e quello precedente diventerebbe sottilissima. Di fatto evanescente.

http://www.sinistraecologialiberta.it:80/vetrina/liberalizzare-non-significa-privatizzare/

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