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FEDI (PD): L’inserimento dell’Italiano nel curriculum locale apre le vere nuove opportunità 

Credo sia stato utile aprire il confronto nel Partito Democratico sui temi della promozione e diffusione di lingua e cultura italiane nel mondo – ha dichiarato l’On. Marco Fedi.

Arriviamo in forte ritardo ad affrontare il tema della riforma di questo settore. I tagli drastici e drammatici imposti dal Governo Berlusconi, che ancora cerchiamo di contrastare con l’azione parlamentare tesa al recupero di risorse, anche con gli incontri che abbiamo chiesto al Governo, hanno comportato una nuova condizione: la condizione della sopravvivenza.

Credo che i tempi siano maturi per una vera riforma che guardi agli interessi più generali del Paese. Non possono vincere gli interessi corporativi ed abbiamo il dovere di assumere in piano questa responsabilità anche dopo la spending review, che non va demonizzata o enfatizzata, ma che deve fornici gli strumenti di analisi della spesa dai quali programmare gli interventi e gettare le basi di una proposta di riforma che parta anche dal buon lavoro già svolto alla Camera.

Credo sia utile ricordare che oggi è l’inserimento nel curriculum scolastico locale ad aprire nuove opportunità, anche con forti risparmi per lo Stato. Il personale formato in loco diventa non solo una scelta dettata dal risparmio ma anche un scelta saggia ed obbligata. Utilizzare queste opportunità non mette in discussione l’articolo 33 della Costituzione: al contrario, ne rende possibile la piena attuazione per gli italiani nel mondo.

Ritengo che comunque l’esigenza fondamentale sia dotarsi di strumenti, anche normativi, tali da garantire la diversità degli interventi, attraverso il pieno riconoscimento e la valorizzazione della diversità delle singole realtà. Il Piano Paese che diventa anche piano di interventi articolato secondo le esigenze dei vari Paesi.

La proposta di riforma, infine, deve appartenere alla nostra storia, rispondere alle nostre aspirazioni, fare riferimento alla esperienza politico culturale dei Comites e del CGIE e dei tanti soggetti che all’estero hanno costruito le opportunità di integrazione e diffusione di lingua e cultura italiane che esistono oggi e che rischiano di perdersi.

On. Marco Fedi 18 gennaio 2012

Allegato: Testo completo dell’intervento

La prima riflessione che ritengo urgente svolgere con voi riguarda l’oggi, il dove siamo, le ragioni per una sostanziale assenza di riforme in un settore strategico, di grande importanza per l’Italia e per il mondo, come quello che riguarda la promozione e la diffusione di lingua e cultura italiane nel mondo. La ragione della mancata riforma è la simbiosi tra enti gestori, personale di ruolo all’estero, dirigenti scolastici in giro per il mondo, oltre a Istituti di cultura e scuole italiane nel mondo. Una simbiosi che ha consentito, negli anni, di guardare ciascuno alle proprie convenienze, in qualche modo garantendo quindi anche le posizioni degli altri, e bloccando ogni possibile cammino delle riforme.

In questa simbiosi, tutti hanno vissuto grazie all’esistenza dell’altro. Il sistema, integrato e pubblico, si reggeva sull’investimento diretto e su un sistema indiretto di contributi agli enti gestori.

E, nonostante le nostre forti preoccupazioni per il futuro, il sistema funzionava, aveva anche una sua logica e garantiva le esigenze di tutte le categorie. I tagli drastici e drammatici, che ancora cerchiamo di contrastare con l’azione parlamentare tesa al recupero di risorse e con gli incontri che abbiamo chiesto al Governo, hanno comportato una nuova condizione, la condizione della sopravvivenza in un clima di forte riduzione delle risorse.

È possibile tornare a quella simbiosi, a far funzionare un sistema in cui sopravvivano interessi convergenti verso la promozione e diffusione di lingua e cultura? Credo i tempi siano maturi per una vera riforma che guardi agli interessi più generali del Paese. Non possono vincere gli interessi corporativi ed abbiamo il dovere di pensare alla promozione e diffusione di lingua e cultura italiane nel mondo come a una grande operazione di integrazione culturale e linguistica che valorizzi le diversità e costruisca le condizioni per una più proficua presenza italiana nel mondo .

Il PD ha una grande responsabilità nel momento in cui assume una iniziativa politica in direzione di una riforma. La prima responsabilità è di evitare che si tratti unicamente di una delle tante iniziative, senza futuro. O meglio a “futuro variabile” a seconda se siamo Governo o opposizione o, come oggi, nel mezzo di una situazione politica originale, anche nelle opportunità che offre se sapremo coglierle.

Una responsabilità resa anche complessa dalla limitatezza delle risorse ma anche dalle scelte che in questo cammino saremo chiamati a compiere. La direzione che dovrà prendere la riforma.

L’esigenza fondamentale è dotarsi di strumenti, anche normativi, tali da garantire la diversità degli interventi attraverso pieno riconoscimento e valorizzazione della diversità delle singole realtà. Il Piano Paese che diventa anche piano di interventi articolato secondo le esigenze dei vari Paesi.

Non dice la verità chi sostiene che gli enti gestori non danno sufficienti garanzie in termini qualità dell’insegnamento o di formazione degli insegnanti. In alcuni Paesi poi, ad esempio l’Australia, il personale di ruolo docente in Italia non potrebbe insegnare se non dopo l’abilitazione e comunque avrebbe il problema del permesso di soggiorno.

L’abilitazione all’insegnamento è fondamentale in quei Paesi, sempre in crescita, in cui l’Italiano è oggi lingua curriculare. Rispetto al passato, l’inserimento nel curriculum locale apre nuove opportunità, risparmi per lo Stato e la necessità che si rispettino sempre più gli ordinamenti locali. Ecco che il personale formato in loco diventa non solo una scelta dettata dal risparmio ma anche un scelta saggia ed obbligata. Utilizzare queste opportunità non mette in discussione l’articolo 33 della Costituzione: al contrario, ne rende possibile la piena attuazione per gli italiani nel mondo.

Siamo passati attraverso la storia, abbiamo attraversato il cammino dell’emigrazione, oggi viviamo il percorso delle nuove migrazioni, eppure ancora oggi, l’Italia, un grande paese protagonista di queste esperienze umane ed universali, è ancora senza una vera politica culturale, senza una vera politica di promozione e diffusione di lingua e cultura italiane nel mondo.

Viviamo una tragica condizione, che ogni giorno subisce anche le contraddizioni di un Paese stanco e disattento, poco propenso alle riforme e bloccato dalle logiche di categoria che sono arrivate a permeare anche la rappresentanza parlamentare che invece dovrebbe agire oltre i limiti e i condizionamenti delle categorie per disegnare un progetto universale.

A Montecatini, nel 1996, individuammo nella dizione “promozione e diffusione della lingua e cultura italiane” il vero percorso che l’Italia doveva intraprendere: parte della nostra politica estera, impegnati a coordinare il lavoro tra le diverse Direzioni e tra i diversi Ministeri, attenti alle “diversità”, coscienti che l’unica vera “italianità” passa attraverso l’integrazione, l’affermazione della propria identità, l’uso degli strumenti linguistici e culturali.

Dicemmo anche che una vera riforma doveva avere il carattere del coraggio, non nascondere “soluzioni” dentro “soluzioni”, non puntare al minimo denominatore comune, con un totale appiattimento verso i livelli più bassi, ma creando punte di eccellenza, centri di eccellenza, qualità verso cui propendere.

Dicemmo che la qualità andava sempre garantita, in entrambe le direzioni: enti gestori, dirigenti scolastici, personale docente ed amministrativo. Dicemmo che tra Ministero degli Affari Esteri ed enti gestori doveva nascere un rapporto contrattuale – di media durata – non dodici mesi di sofferta attesa per contributi che arriveranno dopo altri dodici mesi di garanzie date a banche che chiedono interessi passivi che non sono rendicontabili ai fini della gestione dei corsi stessi. Dicemmo quanto fosse indispensabile trovare il giusto equilibrio tra intervento pubblico diretto e indiretto.

Sul tema della natura dell’intervento vorrei sgomberare subito il terreno da un equivoco. L’insegnamento di lingua e cultura italiane all’estero non è “privatizzato” nel senso tradizionale della parola. Le soluzioni adottate dal Governo italiano, fino ad oggi, hanno fatto riferimento all’intervento diretto dello Stato e ad un intervento indiretto, attraverso gli enti gestori, che non è privatizzazione poiché si tratta di un trasferimento di risorse ad enti che non perseguano il lucro, che si propongano fini ed obiettivi statutari relativi al benessere della comunità italiana e che rispondono, sia in Italia che in base alle legislazioni locali, a criteri di trasparenza e di corretta gestione amministrativa, sottoposta a controlli annuali. Il dibattito, che si è trasferito sul piano ideologico, deve tornare ad essere legato alle soluzioni ottimali. Penso alla già citata differenziazione degli interventi a seconda della realtà Paese, all’azione didattico-formativa e di coordinamento affidata ai dirigenti scolastici i cui uffici devono essere adeguatamente dotati di personale amministrativo, all’azione di controllo da parte dell’autorità consolare, all’assunzione in loco di docenti e, in alcune realtà, se il Piano Paese indica quella soluzione come la più confacente ai bisogni formativi, anche assunti dall’Italia. Inoltre, è necessario operare un coordinamento tra diverse Direzioni del MAE con altri Ministeri che hanno competenza specifiche come il Ministero della Pubblica Istruzione, per concorrere a determinare le linee generali dell’azione di promozione e diffusione di lingua e cultura italiane. Mi sembra che questi elementi possano portare all’elaborazione di un testo condiviso da sottoporre all’attenzione del Governo o da presentare come proposta unitaria in Parlamento.

In sostanza credo che si debbano trovare soluzioni adeguate rispetto a situazioni davvero diverse tra loro in termini di realtà dell’insegnamento e della diffusione della nostra lingua. Ci sono casi in cui l’impegno principale è degli enti gestori, altri dove il ruolo centrale è delle scuole italiane ed altri ancora dove gli ordinamenti scolastici locali hanno assunto un ruolo centrale. È fin troppo evidente, quindi, che il nuovo quadro normativo debba articolare e differenziare gli interventi conformemente al Piano Paese predisposto per ciascuna situazione specifica.

Innanzitutto risorse adeguate: non è possibile investire in cultura e formazione, anche linguistica, se non si investono anche risorse adeguate.

La qualità dell’intervento, con una cabina di regia che oggi appare lontana. Non solo nel contesto del Ministero degli Affari esteri, tra DG italiani all’estero e affari culturali, ma anche con il Ministero della Pubblica istruzione.

Sulla riforma della 153/71 la sostanza è che la promozione dell’insegnamento della lingua italiana nel mondo ha superato, nei fatti, i vincoli normativi ed è oggi uno strumento di arricchimento delle realtà culturali e sociali locali, di forte presenza della nostra lingua e della nostra cultura in quei Paesi – basti pensare all’Australia dove l’italiano è la lingua più diffusa dopo l’inglese, anche nelle scuole – ed è parte del sistema Italia all’estero, in modo particolare quando è affidata agli enti gestori e quindi integrata nel curriculum scolastico locale. La riforma deve tener conto della molteplicità di realtà e soggetti, della necessità assoluta – che non può essere mascherata da false soluzioni – di superare l’assistenzialismo e puntare alla integrazione curriculare ed alla massima apertura e diffusione a livello scolastico ed universitario oltre che a moderni progetti di collegamento, formazione ed aggiornamento. Programmazione degli interventi in base ad un Piano Paese, sicurezza degli interventi e dei finanziamenti a fronte di una provata e certificata capacità tecnico-organizzativa degli enti. Le Direzioni Generali del Ministero degli Affari Esteri debbono armonizzare la propria azione e, ad esempio, la formazione, l’insegnamento diretto ed i progetti di rilevanza nazionale ed internazionale possono essere affidati, a livello ministeriale, ad un esame comune. Però acceleriamo il passo: ricordo che a Montecatini il CGIE approfondì e predispose successivamente un testo di riforma. Si tratta ora di trarre frutto da queste esperienze importanti.

Abbiamo peraltro sottoscritto nella trascorsa legislatura e ripresentato in questa legislatura una nostra proposta di legge, primo firmatario Narducci, che invoca una gestione unica e introduce delle novità come l’Istituzione, presso il Ministero degli Affari Esteri del Dipartimento per la promozione della lingua e della cultura italiane all'estero: una struttura operativa composta da operatori e tecnici della Scuola, in grado di interpretare il ruolo della scuola italiana all'estero in totale sintonia con i processi innovativi in atto nella scuola, anche pensando ad un maggior coinvolgimento del Ministero dell'Università e della Ricerca.

Ritengo importante guardare ad una proposta di riforma che appartenga alla nostra storia, che risponda alle nostre aspirazioni, ai sogni delle comunità italiane nel mondo ed alla esperienza politico culturale dei Comites e del CGIE e dei tanti soggetti che all’estero hanno costruito le opportunità di integrazione e diffusione di lingua e cultura italiane che esistono oggi e che rischiano di perdersi.

On. Marco Fedi

On. Marco FEDI
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