Cerca ancora una volta di puntellare il governo, Giorgio Napolitano, dopo che il consenso in Senato è sceso al di sotto di quello del Parlamento, lo spread è risalito sopra 500, la Bce non compra Btp e il malumore serpeggia fra gli italiani. “L'Italia ce la farà a uscire dal tunnel della crisi, usando l'arma vincente della coesione sociale e nazionale”, dice al Corriere il Presidente della Repubblica, invitando tutti a lasciar fare al governo e richiamando tutti ad un clima di fiducia, necessario per operare. E ne approfitta, a chiusura delle celebrazioni per i 150 anni della nostra unità nazionale, per ricordare che è “indubbio che la globalizzazione possa creare fenomeni di spaesamento”, ma tuttavia di lui non crede “siano fatali le spinte centrifughe o che esse non risultino dominabili e superabili” e, comunque, di non ritenere “che vi siano, nel nostro continente, piccole patrie in cui ci si possa sentire espropriati di sovranità per effetto del processo di costruzione dell'Europa unita”. Quindi per lui, l’Unità è il valore aggiunto che l’Italia possiede per uscire dalla crisi, senza distinguo né particolarismi. Da ieri Mario Monti, mentre l’Italia si preoccupa per una manovra basata per 18 miliardi sulle tasse e sui sacrifici della classe media e lo spread che torna a toccare i 510 punti, con la Bce che resta alla finestra e dopo l’iniezione miliardaria dei giorni scorsi non compra nostri titoli di stato, torna ad incontrare i leader dei partiti che chiedono al governo di avviare la crescita e le liberalizzazioni, ponendo pure la questione di interventi sul mercato del lavoro. L’approvazione definitiva della manovra spinge l’esecutivo ad ascoltare tutte le forze politiche (Pdl, Udc, Api) per accelerare la fase due che punterà allo sviluppo, mentre i sindacati rincarano la polemica affermando che anche la questione delle pensioni, per loro, non è chiusa. Per mercoledì 28 Monti ha convocato un Consiglio dei Ministri, sia per lanciare un messaggio ai mercati, ancora attraversati da forti burrasche speculative, sia per mettere a punto i temi da affrontare nella conferenza stampa di fine anno, in cui potrebbe annunciare un pezzo del piano per la crescita. Ma ieri, contrariamente a quanto fatto in questi giorni, il nostro presidente del Consiglio, ha trasmesso un' immagine meno minimalista e più ambiziosa di quella offerta dagli alleati politici, che dicono che è ancora presto per dire se con Monti si è chiusa la seconda ed aperta la terza repubblica, continuando nella pantomima dl “doppio passo”, fra quanto votano nelle Camere o dichiarano di fronte agli elettori. Nel giorno in cui ha ottenuto la fiducia anche del Senato, seppure lasciando sul campo altri 24 voti, Monti ha annunciato che “la fase due” è già cominciata e fatto capire di essere avviato verso la fine della legislatura, poichè non esiste un patto politico che possa garantire l' approdo del 2013. Così, ora, toccherà ai politici scoprirsi e mostrare un’unica faccia. E, per maggior chiarezza, in una nota, Palazzo Chigi, spiega che il governo ha tutto l'interesse a un dialogo più strutturato e che veda insieme al tavolo tutti i partiti, naturalmente con una condivisione di oneri e di responsabilità sulle decisioni prese. Insomma nella “fase due”, espressione che a Monti non piace ma che rende bene l’idea, la condivisione con i partiti dovrà essere piena, perché, ha detto il Presidente del Consiglio: “le cose da fare sono molte e difficili per liberare l'economia italiana dai freni che l'hanno rallentato la crescita”. Monti ascolterà dunque i “suggerimenti” dei partiti, espressi nella forma e nelle modalità “a loro gradite” e anche, sul “tema chiave” del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, si confronterà con “un'agenda strutturata” di confronto con le parti sociali. Ma poi deciderà e pretenderà che ciascuno si assuma, anche di fronte agli italiani, le proprie responsabilità. Per ora, solo il Terzo Polo è schierato “senza se e senza ma” dalla parte del governo. Casini lo ha ripetuto anche ieri. “Sono andato da Monti per fargli gli auguri di Natale perché non abbiamo né richieste né proteste da fare al presidente del Consiglio, che va solo assecondato”. Invece più ambigui i messaggi dal Pdl, con Angelino Alfano che ha avuto, con Cicchitto e Gasbarri, un colloquio “pre-natalizio e postmanovra” con il premier e mette le mani avanti, temendo un blitz sulle liberalizzazioni e il rischio di dover fare i conti con nuove ondate di proteste di una parte consistente del suo elettorato, se davvero – come ha già annunciato il ministro Corrado Passera – “sulle liberalizzazioni il governo porterà fino in fondo quello che aveva in mente”. Lo spread tornato sopra quota 500 non consente di temporeggiare. La visita del governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, a Palazzo Chigi non è stata ieri solo l'occasione per scambiarsi gli auguri di Natale. Monti è intenzionato a procedere in tempi rapidi e lo farà capire nella conferenza stampa di giovedì. Il fatto è che non sa più su chi possa davvero contare fuori dalla sua squadra e nel Parlamento e, soprattutto, di quali interessi di lobbies dovrà necessariamente tenere conto. Sì perché ha un bel richiamare al’unità il buon “re Giorgio”: l’Italia è soprattutto un paese di lobbies, di gruppi di pressione e di interessi che si inquadrano in un contesto in un contesto de-ideologizzato e, di fatto, attorno alla manovra oggi si stende l’ala riprovevole delle lobbies: il lato oscuro della forza, sinonimo di quelli che non vogliono cambiare. In teoria, in Italia, a differenza degli USA, dopo il disegno di legge avanzato dalla senatrice Maria Pia Garavaglia nel 2009, intitolato Regolamentazione dell’attività dei consulenti in relazioni istituzionali presso le pubbliche amministrazioni e le disposizioni adottate da regioni virtuose come Toscana, Abruzzo e Molise, il lobbismo non è consentito, cioè si persegue il privilegio di appartenere a comunità di persone che perseguono il medesimo scopo-interesse. Questo sulla carta, ma non in pratica, perché di fatto, da noi, dalla prima alla terza, ipotetica repubblica, sono esistiti ed esistono gruppi di interesse economico che creano un impatto forte e determinante sulla politica e si fa si che si muovano all’interno di un perimetro legale.