Con il 2011 è tramontata la prima fase della Seconda Repubblica. Durata, tra alti e bassi, una decina d’anni e con il varo di una moneta unica. Con l’attuale Governo Tecnico, anche i progetti politici meno azzardati sono tramontati. In primo piano, più che per il passato, resta la nostra asfittica economia ed un futuro assai incerto nell’area d’Eurolandia. I sacrifici, tanto per non cambiare, andranno a ricadere sui redditi da lavoro dipendente, sulle pensioni, sull’occupazione che non consentirà ai “giovani” d’aspirare ad una pensione di “vecchiaia”. Quando, come in questo frangente, non ci sono più tenzoni politiche da contrapporre, tesi da ribaltare, scrivere di prospettive ci sembra più che azzardato. Il Parlamento, nella sua limitata attività, non è un segnale da giudicare in positivo. Anzi, neppure da giudicare. L’attuale Esecutivo resta una formazione neutra che dovrebbe riportare in Paese ad un’economia meno compromessa e più tutelata dalla speculazione internazionale. La “manovra” Monti inizierà a dare i suoi frutti nei prossimi mesi. Anche se i suoi effetti si sono già fatti sentire. Assicurato un “placet” parlamentare per evitare guai peggiori al Paese, l’Italia del 2012 si troverà più “povera”. Mancando palesemente un’attività legislativa politica, ogni decisione resta di pertinenza dei “tecnici”. Magari digiuni d’affari pubblici ma capaci di farci bene i conti in tasca. E’ il concetto d’austerità per tutti che, però, non c’è chiaro. Ci sfugge, pur con nostro rammarico, come si possano equiparare le “rinunce” con pensioni o retribuzioni d’Euro 2000/3000 mensili, rispetto a trattamenti di sotto i mille euro. Anche tenendo conto che sono milioni gli italiani che devono far quadrare il loro bilancio con redditi risicati. L’imposizione diretta ed indiretta non ci colpirà in modo omogeneo, ma chi aveva già poco, ora avrà sicuramente meno. Tramontato, almeno sotto l’aspetto normativo, il federalismo fiscale, anche le strutture locali subiranno profonde trasformazioni. Molti enti locali cesseranno d’esistere; almeno nella forma con la quale ci avevamo convissuto per lungo tempo. C’è preoccupazione ed incertezza per il futuro. Il consumismo, già ridimensionato, forse resterà un termine da porre nel cassetto dei ricordi. L’importante è che l’indispensabile sia garantito, in qualche modo, per tutti. Anche a questo livello, però, s’addensano i nostri dubbi e le perplessità proprio non mancano. Né ci consola il fatto che il disagio non è solo nazionale. Eurolondia ha avuto, ed ha, un prezzo che siamo tenuti tutti ad onorare. Il fatto è che non è più possibile ragionare a livello nazionale. L’Italia è un ingranaggio di un Sistema (UE) fortemente voluto, ma non facilmente gestibile. Così, vivremo la “crisi” in fasi. La prima, in pratica l’attuale, è rappresentata dalla riduzione di tutti i consumi; alimentari compresi. Poi, se fosse il caso, si farà a meno di quello che, oggettivamente, non risulti indispensabile. Rinunciare è una cura per uscire dal deficit che l’Azienda Italia ha presentato all’Europa. Ma la “misura” non sarà uguale per tutti. Chi stava bene, non starà peggio. Sparirà il ceto medio ed il benessere andrà a distribuirsi a “pelle di leopardo”. E’ inutile ancorarci agli ottimismi di facciata. Non saranno solo mesi di sacrifici. La crisi, ma già lo avevamo scritto, durerà anni; anche se si evolverà diversamente. Per ora, dobbiamo tener duro. Dopo si vedrà.
Giorgio Brignola