Il caso Ciappazzi- Parmalat ha avuto il suo primo verdetto. Cesare Geronzi e il banchiere Matteo Arpe sono stati condannati dal tribunale di Parma rispettivamente alle pene di 5 anni e 3 anni e 7 mesi di reclusione, con interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. La questione giudiziaria riguarda la vendita delle acque minerali della ditta Ciappazzi. Questa lunga vicenda iniziata con fatti risalgono a quasi dieci anni fa si è conclusa con una sentenza che accusa Geronzi di bancarotta fraudolenta e usura aggravata mentre per Arpe l’accusa è solo di bancarotta fraudolenta. All’epoca dei fatti sia Geronzi che Arpe erano ai vertici di Capitalia, appartenente alla ex Banca di Roma. Stando a quanto ritenuto e ricostruito in sede processuale dalla pubblica accusa, l’ex Presidente di Capitalia avrebbe spinto Parmalat, storica azienda del patron Callisto Tanzi, ad acquistare l’azienda Ciappazzi, guidata dal gruppo Ciarrapico, in grosse difficoltà finanziarie e indebitato con la banca romana. Successivamente sarebbe stato dato a Parmalat un finanziamento di circa 50 milioni di euro, soldi che dovevano essere girati alla Hit, società turistica sotto il controllo di Tanzi, anch’essa in forte crisi e vicina al fallimento. Questo giro intricato di soldi fu fatto soprattutto per evitare che la banca romana si accollasse una buona parte di questi rischi. Sempre secondo la ricostruzione del pubblico ministero di Parma, la situazione ha cominciato a complicarsi ancora di più quando, la situazione finanziaria della stessa Hit, ha alimentato sempre di più il timore che un possibile crac sarebbe gravato sull’intera Parmalat, fatto che avrebbe portato a una situazione debitoria di alto livello e difficile da sostenere. Geronzi, sempre secondo quanto confermato dallo stesso pubblico ministero, Vincenzo Picciotti, avrebbe avuto un ruolo da perfetto regista e, senza troppe formalità, autorizzò questo prestito. I tempi velocissimi e al di fuori della normalità per la concessione del finanziamento, la mancata richiesta da parte di Parmalat di una nuova finanza e la contemporanea girata di questi 50 milioni di euro alla Hit sarebbero i tre elementi chiave che hanno portato i giudici parmensi a pronunciare la sentenza. Il pubblico ministero aveva chiesto quattro mesi fa in dibattimento, la condanna a sette anni di reclusione per Geronzi e a due anni e sei mesi per Arpe. La vicenda giudiziaria non è chiusa: ora ci sarà la dura battaglia da parte dei legali dei rispettivi imputati, pronti a lavorare sodo per stravolgere la decisione del tribunale ducato. Ci sono altri due gradi di giudizio che decideranno condanne o assoluzioni definitive.
Marco Chinicò