ALFANO: No alla patrimoniale

L’intervento di Angelino Alfano alla Camera dei deputati, pronunciato il 18 novembre 2011, in occasione del voto di fiducia al governo Monti

Signor Presidente, onorevoli colleghi,

voteremo compatti la fiducia al Governo presieduto dal senatore Monti e formato da ministri degnissimi della funzione, cui va il nostro augurio di buon lavoro.
Voteremo la fiducia nonostante il peccato originale che affligge qualunque Esecutivo che non sia espressione di una forte legittimazione diretta, popolare, elettorale. È un sacrificio sul piano dei principi, ma è anche una scelta razionale che abbiamo compiuto con atto di responsabilità. Un atto di responsabilità, in primo luogo, del presidente Silvio Berlusconi, cui va la gratitudine del Popolo della Libertà, per l’atto d’amore per l’Italia compiuto nel momento in cui era più difficile compierlo, senza mai essere sfiduciato in quest’Aula e godendo di un’ampia maggioranza al Senato.

Non credo di dover spendere parole inutili per ribadire quanto il mondo, gli europei e gli italiani e la classe dirigente riunita in questo Parlamento hanno ampiamente compreso: non le decisioni corrette e coraggiose del Governo italiano – fatti salvi gli errori e le omissioni che capitano a tutti -, ma la cattiva gestione politica e finanziaria della crisi dell’euro ha determinato un’emergenza e una tendenza negativa che dura e che si allarga ogni giorno di più verso il nord dell’Europa, come dimostrano gli eventi finanziari di questi giorni, che mi consigliano di consigliare, a chi ha festeggiato in modo scalmanato e a chi ha stappato champagne per le dimissioni del presidente Silvio Berlusconi, di chiamare costoro, dalla forza dei numeri e per la forza dei numeri, a riaversi dalla sbronza e a cercare di mettersi i panni della sobrietà e dell’intelligenza delle cose, oltre la demagogia e la propaganda.

Il principale compito di questa classe dirigente eletta dal popolo e del Governo tecnico e di impegno nazionale, che siamo lealmente impegnati a far nascere, è quello di trasformare l’euro in una vera moneta comune, dotata di una vera Banca centrale, capace di difendere, come prestatore di ultima istanza, investimenti, risparmi e lavoro in tutto il continente.
Abbiamo il dovere di dirlo con chiarezza: l’euro sta fallendo la sua prima grande prova, quella nata dalle tensioni di mercato sul debito privato e dalla catena funesta dei derivati, e progredita con l’attacco al debito sovrano di molti Paesi europei. Siamo chiamati ad una gigantesca opera di riconversione del sistema monetario, che implicherà, come la Cancelliera Merkel ha riconosciuto giusto ieri, anche la revisione dei trattati e il cambiamento statutario dell’istituto di emissione di Francoforte.

Il primo grande impegno sul quale il Governo sarà misurato è la capacità di esprimere una politica estera ed europea all’altezza della situazione. Sono, siamo d’accordo con lei, Presidente Monti: l’Europa siamo noi. Affinché questa non risulti una petizione di principio, occorre però che l’armonizzazione delle politiche dei singoli Stati si accompagni a una svolta democratica in grado di dare all’Unione europea quel che non ha mai avuto, e cioè un’autorità politica sopranazionale che sia effettivamente fondata sull’esercizio dei poteri democratici controllabili dai cittadini.

Una moneta comune è tale solo se c’è l’impegno comune a difenderla dagli appetiti legittimi dei mercati finanziari e dalla speculazione, una moneta comune è tale solo se nella fiducia reciproca, in una mutua cooperazione, gli Stati dell’Unione sono in grado di proteggere e promuovere prospettive di crescita fondate sull’accesso al credito, sulla propensione agli investimenti e sulla libertà di impresa e di lavoro.
Occorreva ed occorre, in questo scenario di drammatica urgenza, una tregua, una tregua fattiva ed operosa dopo anni di infausta conflittualità senza confini e senza rispetto per la dimensione alta e nobile della politica, un disastroso dilagare di settarismi inconcludenti lontani dal sentire della nazione. Il fossato di credibilità tra gli italiani e la politica cresceva ogni giorno di più perché questo tipo di conflitto impediva il regolare funzionamento delle istituzioni.

In quelle condizioni, di fronte alla proposta del Presidente della Repubblica, che pure ci aveva lasciata aperta la strada del voto manifestandosi indisponibile a far nascere un Governo privo del nostro consenso – e di ciò gli diamo atto in quest’Aula solennemente, di fronte a tale proposta si è rivelato necessario prender tempo e rinunciare provvisoriamente all’esercizio del diritto fondamentale in ogni democrazia, quello stesso diritto che gli spagnoli, i portoghesi, i greci, gli irlandesi e gli islandesi hanno esercitato o stanno esercitando in condizioni di crisi finanziaria molto superiori alle nostre.

Ora la tregua va gestita con moderazione, con prudenza politica, con leale convinzione nella bontà della soluzione prospettata e con autentica fiducia verso il Presidente del Consiglio che ha ricevuto pubbliche congratulazioni anche dai vertici del partito del gruppo parlamentare del PPE in Europa e ciò a testimonianza della sua collocazione culturale nell’ambito delle grandi famiglie politiche europee.
Dobbiamo procedere a riforme capaci di togliere il gesso del corporativismo e dell’iniquità sociale all’economia italiana, immettendo robuste dosi di libertà di iniziativa e rimuovendo ostacoli alla crescita che avevamo puntualmente indicato come priorità all’inizio della legislatura. È un compito decisivo, per il quale non mancherà l’apporto politico e, se mi permettete, anche tecnico delle migliori esperienze legislative e di Governo, che hanno segnato la storia degli ultimi tre anni nel campo della lotta alla criminalità organizzata, della tenuta dei conti pubblici, della impostazione della riforma fiscale, della riforma del mercato del lavoro e dell’istruzione e di molte altre priorità e che ci hanno infine condotto alla formulazione del pareggio di bilancio per il 2013, all’avanzo primario migliore tra i nostri partner, a un tasso di disoccupazione inferiore a quello dei concorrenti e alla difesa in generale dei fondamentali di un’economia solida il cui storico sovraccarico di debito pubblico è oggi sotto forte attacco dei mercati finanziari.

Nel discorso del Presidente del Consiglio si riscontrano espliciti ed impliciti riconoscimenti del fatto che il Governo uscente e la sua coalizione di maggioranza lasciano un Paese che ha storici progressi da compiere, ma non ha una storia da rinnegare. Siamo lieti, signor Presidente, di lasciarlo in buone mani.

Se dobbiamo togliere il gesso all’economia e cercare la strada di un rilancio dello sviluppo e di un risanamento che disboschi i privilegi e le rendite passive, non dobbiamo però ingessare la politica democratica, la libertà di iniziativa e di dialogo di partiti e movimenti, la capacità di far vivere il significato della democrazia nella società. Questo sarebbe un errore imperdonabile per tutti, per noi, Popolo della Libertà e per i nostri avversari della sinistra, come per la componente politica centrista.

Questo è un Governo tecnico, politicamente legittimato da un voto del Parlamento, ma non è un Governo delle larghe intese o di compromesso storico. Nelle prossime settimane e mesi sarà all’opera una coalizione della responsabilità e dell’impegno nazionale, come ha detto il Presidente Monti, ma non una riedizione di esperienze passate che nell’Italia della riforma maggioritaria non devono riemergere. Sarebbe il morto che afferra il vivo, sarebbe la riedizione della storia, una volta come tragedia e una seconda volta come farsa .
Ci sono delle cose iscritte nel DNA della parte d’Italia, di cui facciamo parte insieme agli amici – che voglio e vogliamo che continuino a rimanere amici – della Lega Nord e a settori moderati che non facevano parte della nostra maggioranza di Governo uscente. Ci sono delle cose iscritte nel nostro DNA, nel DNA di forze che si sono riconosciute in un lungo percorso riformatore.

Noi siamo sempre stati contrari, e lo rimarremo, ad interventi economici che rafforzino il peso dello Stato sulla vita dei cittadini, peso politico e fiscale insieme, compromettendo i beni e i risparmi delle famiglie. Il grande sforzo nazionale deve essere indirizzato verso obiettivi compatibili con i conti dell’emergenza, ma in un contesto di libertà e di rispetto per un popolo che si esprime in un’imprenditoria tra le più operose ed avanzate del mondo occidentale e in una capacità di lavoro e di competenza dell’industria e dei servizi, che non temono confronti.
Dobbiamo muoverci con ottimismo responsabile, con la forza di trascinamento di una fiducia che provvedimenti ambigui o decisamente punitivi potrebbero scalfire. Non c’è alcuna opposizione a riesaminare nel dettaglio la tassazione sugli immobili, ma c’è una forte opposizione di principio ad un’imposta patrimoniale indiscriminata, pesante, centralista e depressiva (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Noi non siamo e non saremo mai il partito della recessione. Siamo e resteremo un partito, un movimento e una coalizione di forze che punta a realizzare ideali e pratiche di giustizia liberale per tutti.

Un Governo di tregua, un Governo che però ci chiede di restare fieramente fermi nelle nostre identità e avviare il Paese ad un confronto pubblico aperto, leale e trasparente sul suo destino, un Governo di tregua e d’impegno può servire oggi a questo fine, che sta sopra le parti, per lasciare poi il campo alla politica democratica, nella sua essenza di decisione elettorale. Questo è il senso del nostro appello agli italiani, questo è il senso della nostra fiducia al Governo presieduto dal senatore Monti.
La nascita di questo Governo – e concludo, Presidente – apre un tempo della politica che non ha precedenti. Il Popolo della Libertà attraverserà questo tempo con serenità, perché lo attraverseremo con il sostegno dei nostri elettori, con la forza dei nostri ideali, con la chiarezza dei nostri programmi, con la fiducia nel destino di un’Italia più libera e più prospera

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