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Gli ultimi giorni di Pompei

Quando fedelissimi come Isabella Bertolini, Giorgio Stracquadanio o Maurizio Paniz manifestano un forte disagio, quando due deputati finora fedeli come Ida D’Ippolito e Alessio Bonciani annunciano il passaggio dal Pdl all’Udc, quando tre (ir)responsabili passano al gruppo Misto, significa che siamo agli ultimi giorni di Pompei. Il riferimento alla cittadina vesuviana non è casuale. Pompei è il simbolo plastico della decadenza di un governo che sta cadendo a pezzi, muro dopo muro e, come nella Pompei di 2000 anni fa, la vita continua ogni giorno come se nulla stesse per accadere.

Prendete Angelino Alfano, perde i pezzi di una maggioranza già risicatissima alla Camera, eppure va da Napolitano a dirgli che Berlusconi deve restare fino al 2013, magari allargando la coalizione, ma con chi? Oppure prendete Berlusconi, va a Cannes a dire che tutti i suoi provvedimenti saranno approvati in fretta con il voto di fiducia, ma chi gliela vota?

Se il momento non fosse tragico si potrebbe addirittura ridere, perché i due fantomatici leader hanno superato il senso del ridicolo. E invece no. Uno è presidente del Consiglio, l’altro è il segretario del principale partito di maggioranza. Tant’è. Ogni momento questo è quanto passa il convento. L’opposizione si sta attrezzando per cambiare lo stato delle cose. Ogni giorno che passa l’Italia si sposta verso il baratro e il governo resta immobile a godersi lo spettacolo perché non sa cosa fare.

A Cannes, poi, l’Italia è rappresentata da un presidente del Consiglio e un ministro dell’Economia che, di fatto, non si parlano. Berlusconi e Tremonti ancora una volta si presentano a un vertice europeo con le mani vuote e tante intenzioni, ma stanno solo prendendo tempo. Questo giochino non potrà durare ancora a lungo. Lo stesso maxiemendamento, che dovrebbe essere la prima risposta all’Europa, non approderà prima di lunedì in Senato perché la maggioranza non sa ancora cosa metterci dentro. Del resto, la crisi è stata causata da banche e banchieri, per questo la soluzione non può arrivare con le loro ricette, perché non sono credibili.

La Bce indica il punto d’arrivo, ma l’Italia è uno stato sovrano e tale deve rimanere con aggancio forte all’Europa. Prima di toccare le pensioni e agevolare i licenziamenti, io penserei a privatizzazioni (vendita del patrimonio pubblico, escluso quello storico, archeologico, artistico e paesaggistico); a liberalizzazioni per non tenere ingessato il mercato, con poche regole da rispettare; alla lotta senza quartiere all’evasione fiscale e alla corruzione; ai tagli ai costi della politica; alla eliminazione di sprechi e privilegi. Se queste misure verranno adottate, e con il dialogo con le parti sociali, si potrà mettere mano al welfare. Insomma, qualsiasi misura deve tenere conto, sullo sfondo, del principio che in questo momento chi più ha più dà. Non possiamo chiedere a chi ha già pagato (senza avere alcuna colpa della crisi) di pagare ancora.

Dobbiamo prepararci, quindi, all’alternativa. Resto convinto che la via maestra siano le elezioni, ma è anche vero che ci troviamo davanti a un momento storico davvero particolare e che alcune cose vanno fatte, e con urgenza. Parliamoci chiaro, la responsabilità politica se ci troviamo a questo punto è tutta di Berlusconi che prima ha negato la crisi e poi, quando di fronte all’evidenza è stato costretto ad ammetterla, non ha saputo trovare soluzioni. Così facendo si sono persi almeno tre anni.

Per questo, trovandoci in una situazione particolarmente grave, le elezioni possono essere precedute da un breve governo a tre condizioni: deve essere guidato da una personalità autorevole, la maggioranza che lo sostiene deve essere molto ampia e deve approvare misure economiche urgenti ma eque cambiando, possibilmente, anche la legge elettorale. C’è infine un altro paletto: il governo attuale deve passare la mano subito perché non c’è tempo da perdere. La Grecia è terribilmente vicina.

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