Gli imprenditori siciliani hanno integrato il codice etico con indicazioni precise di non collaborazione con le cosche, di obbligo di denuncia per le richieste del racket. Una strada che dovrebbe essere seguita anche dagli Ordini professionali vista la mole di soggetti coinvolti in inchieste di mafia e spesso condannati. Commercialisti, avvocati, ragionieri, architetti, ingegneri, medici e cosi' via coinvolti in inchieste di mafia, condannati e spesso rimasti al loro posto a presiedere i loro ben avviati studi professionali. Sono pure loro i rappresentanti della societa' civile cui si e' rivolto anche il presidente della Repubblica recentemente, con un appello alla solidarieta' antimafia. I rapporti dei liberi professionisti con la mafia, quell'intreccio diabolico che ormai va sotto il nome di 'zona grigia', insomma le collusioni, penalmente rilevanti o meno, sono l'oggetto di indagine del libro “La zona grigia, professionisti al servizio della mafia”, scritto dal giornalista del Sole 24 Ore Nino Amadore. Il libro, finora disponibile solo su Internet, sara' in libreria alla fine del mese edito dalla casa editrice palermitana La Zisa (www.lazisa.it). Il tentativo dell'autore e' quello di cogliere i contorni delle collusioni, di capire quali e quanti professionisti sono stati censurati dai rispettivi Ordini professionali per conclamati rapporti con Cosa nostra. In Sicilia in dieci anni sono stati almeno 400 i professionisti finiti nei guai per aver avuto contatti con la mafia. “Il mio – spiega l'autore – e' un tentativo: quello di disegnare i confini di questa zona grigia, di quantificare il fenomeno, di individuare le responsabilita'”. Responsabilita' che, in tema di lotta alla mafia, ci sono e sono evidenti: sono quelle degli Ordini professionali i quali finora, a differenza di quanto fatto dagli imprenditori, si sono interrogati poco sulla necessita' di prendere una posizione netta contro il crimine organizzato. “Gli Ordini – continua Amadore – hanno un ruolo importante nella nostra societa'. Ecco perche' io credo che una condanna chiara senza equivoci della mafia, che abbia magari un riscontro nei codici deontologici , potrebbe avere un effetto rivoluzionario. E impedire, per esempio, che un commercialista sospettato di aver riciclato il denaro di una cosa possa dire: mica posso chiedere la fedina penale ai miei clienti”.
“IL DISORDINE CHE FA COMODO AGLI ORDINI” di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera)
A cosa servono gli Ordini se non tengono ordine tra i loro iscritti, pretendendo il rispetto delle regole deontologiche? Era una domanda lecita dopo la scelta dell'Ordine degli Avvocati di non muover foglia contro i neo-colleghi imputati della truffa all'esame di Catanzaro, quando copiarono in 2.295 su 2.301 lo stesso tema. E legittima dopo la scoperta che l'Ordine dei Medici non si era mai accorto (in venti anni!) che Girolamo Sirchia aveva al Policlinico una segretaria pagata non dall'ospedale ma da un'industria farmaceutica fornitrice. Ma è una domanda obbligata oggi dopo la lettura di La zona grigia/Professionisti al servizio della mafia edizioni «La Zisa». In cui Nino Amadore, del Sole 24 Ore, ricostruisce le ambiguità e i silenzi dei vari Ordini nei confronti degli associati coinvolti in faccende di mafia, camorra, 'ndrangheta. Colletti bianchi che, a sentire il presidente di Cassazione Gaetano Nicastro, sono indispensabili ai criminali: «Cosa Nostra gode purtroppo di una vasta rete di fiancheggiatori nell'ambito di una certa borghesia mafiosa, fatta di tecnici, di professionisti, di imprenditori, di esponenti politici e della burocrazia». Come potrebbero certi padrini potentissimi ma semi- analfabeti investire nell'edilizia in Lussemburgo, nell'acquisto di un pacchetto azionario alle Cayman o nell'acquisto di 12 miliardi di metri cubi di gas dall'azienda ucraina Revne per «un valore di mercato di tre miliardi di euro» senza «un'accorta analisi fatta da gente preparata, che conosce i mercati»? Come potrebbero appropriarsi degli appalti pubblici senza la complicità di architetti, ingegneri, commercialisti, funzionari regionali e comunali ben decisi a regolarsi sul loro lavoro come le tre scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano? Amadore ricorda, tra gli altri, il caso del tributarista coinvolto nell'«operazione Occidente » che vide l'arresto di 46 persone appartenenti in parte al giro di Salvatore Lo Piccolo. «Accusato di aver riciclato il denaro delle 10 famiglie mafiose si è difeso: “Ho solo fatto il mio lavoro di consulente, di certo non vado a chiedere la fedina penale di tutti i miei clienti”. » Tema: i suoi «probiviri» non han niente da dire? Sempre lì torniamo: «quando» un Ordine può intervenire? Nel caso del processo per il riciclaggio del «tesoro » (stima: 150 milioni di euro) di Vito Ciancimino, il libro segnala come i professionisti condannati siano stati due: il tributarista palermitano Gianni Lapis e l'avvocato internazionalista romano Giorgio Ghiron. Cinque anni e 4 mesi a testa. Ma se Lapis è stato subito sospeso dall'Ordine di Palermo, Ghiron risulta, molti mesi dopo la sentenza, ancora al suo posto. O così dice il sito dell'Ordine di Roma. Come mai? Il destino personale dell'uomo, va da sé, non c'entra: se è innocente lo dimostrerà in Appello. Auguri. Ma resta il tema: perché, come sostiene il presidente dell'Ordine dei Medici Annibale Bianco, un Ordine dovrebbe attendere la sentenza in Cassazione per censurare un iscritto? Che ce ne facciamo di una sanzione supplementare se c'è già una sentenza che magari espelle il condannato dalla professione? Se un Ordine non serve a tenere ordine «al di là» degli iter giudiziari, a cosa serve? A organizzare belle cene in compagnia?
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