Site icon archivio di politicamentecorretto.com

RECENSIONE L’OMBRA CHE DIVORA

di Gianluca Paciucci

Dalla raccolta di racconti di Carmelo Musumeci[1] trasudano violenza e dolore, inflitti-subiti, e infine cristallizzati da quella creazione antiumana che è il carcere. Questo luogo, un’istituzione totale degna di Stati totalitari, è chiamato dall’ergastolano Musumeci l’“Assassino dei sogni”: è Ade, è Plutone, dio degli inferi e, al tempo stesso, gli inferi stessi, come nella Commedia di Dante. Ingoia figli e figlie -anche se l’universo di cui qui si scrive è interamente maschile-, li produce per divorarli, li bracca ad ogni istante, senza requie, cogliendone ogni minima debolezza e troncandone ogni sogno appena germogliato. E’ un’Ombra immensa che divora a poco a poco tutte le piccole ombre che vi si agitano dentro. E’, architettonicamente, una vecchia fortezza su un’isola, posto per carceri o per utopie, abolite queste ultime, celebrate le prime; oppure è un blocco di cemento, spesso in periferie di periferie, dove solo pensare che vi finiscono uomini e donne, a volte per sempre, dovrebbe far rivoltare le viscere e il pensiero: ma tacciono, viscere e pensiero, e tacciamo tutti perché separati da quell’universo, alienati dal prodotto del nostro modo di vivere e di far morire, famelico e distratto.

PENA SENZA FINE

Ergastolo ostativo è quello che subisce Musumeci, senza la possibilità di “trattamento extramurario”: pena senza fine che non sia la fine della vita stessa, pena di morte in vita, sottolineano l’autore e i vari militanti, scrittori e giuristi i cui scritti accompagnano i racconti. Contrario all’art. 27 della Costituzione, specialmente là dove si legge che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. E’ così nelle nostre prigioni? Musumeci ci dimostra di no, in sette fulminanti racconti. Nel primo, che dà il titolo alla raccolta, quattro ”uomini senza futuro”, in carcere per sempre e anche “da sempre”, tentano una fuga: “uomini ombra” a tentare di recuperare il proprio “corpo” appeso là fuori, divincolandosi dalle fauci dell’“Assassino dei sogni”. Loro antagonisti sono il brigadiere Hitler e la sua “squadretta di picchiatori”, il direttore Pece (un piccolo dio dell’oscurità, un cinico ragioniere del male attento alla propria carriera), e l’Assassino di cui sopra. Lo scontro è frontale e feroce: “ammazzare” è la parola-chiave (una trentina di occorrenze), con altre che vengono generate per accostamenti fonici (cazzo/pazzia/sgozzare) e che contribuiscono, ritmandoli, al crescendo di tensione e allo scioglimento finale. Tre dei quattro verranno uccisi nel tentativo, un quarto, protetto e salvato dagli altri, sarà tradotto in altro carcere, dove riceverà botte selvagge (“…Quando toccavi uno di loro, in qualsiasi altro carcere andavi, le guardie ti davano il benvenuto e ti massacravano di botte…” -p.73) e la visita della moglie, cui giurerà “sul bambino che non abbiamo mai avuto” (p.79) di continuare a vivere.

Colpisce l’intensità dello scontro, non attenuato da nessun populismo pietoso alla Pasolini: criminali incalliti sono i quattro (uxoricidi e pluriomicidi), dinanzi ai quali però non sfigurano i carcerieri, maledetti ‘figli del popolo’ ma non per questo meno colpevoli, e nemmeno dalla parte giusta. E’ giusta quella parte che crea luoghi d’infamia come il carcere? E’ giusta quella società che da secoli ‘sorveglia e punisce’?, che genera il crimine e se ne serve per alimentare la propria fame di profitto (“complesso carcerario-industriale” è termine introdotto da Mike Davis)? O non è essa stessa, società sedicente ‘democratica’, ad accogliere elementi di fatto totalitari come l’arbitrio senza limiti che regna nei luoghi di detenzione? Perché è questa la certezza emergente dai racconti, che anche in regimi formalmente democratici, le prigioni rappresentino luoghi della totale presa del potere di alcuni uomini dello Stato sui corpi di altri, la cui ‘nuda vita’ è in balia di aguzzini spietati.

UN IMPROBABILE SUICIDIO

Questo emerge bene dal secondo dei racconti, “L’Assassino dei sogni”, una storia vera, secondo alcuni, o almeno verosimile: Maurizio, il protagonista, per un gesto di umana insofferenza (“…Aveva tirato un piatto di patate in faccia al brigadiere…” – p.83), ‘deve’ essere punito. Subisce un primo pestaggio e un secondo, nel quale riesce a sfregiare il capo della squadraccia punitiva, infine viene massacrato e poi impiccato nella sua cella (il “blindato”) a fingere un improbabile suicidio. “…La morte lo avvolse a sé e se lo portò via. Lasciò all’Assassino dei sogni il corpo appeso fra le sbarre.” (p. 93). Suicidi ne avvengono a decine, nelle nostre carceri, ma anche pestaggi e morti più che sospette: a nulla vale, ed è criminale solo pensarlo, che lo stress dei secondini li giustifichi -lo abbiamo sentito troppe volte… Essi sono ingranaggi di uno Stato di per sé violento e, ripeto, totalitario, da questo punto di vista: la paura dell’arbitrio poliziesco in regime di privazione della libertà, da Solčenicyn a Å alamov, da Levi a un CIE, in Italia come in una prigione dell’ex alleato Gheddafi o degli attuali alleati Putin e Obama[2], è la stessa. Un porta che si apre e lascia entrare gli ‘incappucciati’ con potere assoluto, che non conosce habeas corpus né possibili ‘rieducazioni’, se non quelle dei campi del più efferato Novecento. “Senzanima” chiama Musumeci i più crudeli dei guardiani, e a loro dedica l’omonimo racconto: “Si erano arruolati nella polizia penitenziaria che avevano un cuore e un’anima. Dopo alcuni anni non avevano più cuore. Poi erano rimasti anche senz’anima…” (p. 95, in uno dei più taglienti incipit del libro), e ancora: “…Ognuno di loro aveva un nome, ma fra di loro non si chiamavano più per nome. Fra di loro si chiamavano ‘Collega’. Invece i detenuti li chiamavano i ‘Senzanima’. Erano la ‘squadretta’ del carcere. Quelli che facevano i lavori sporchi per l’Assassino dei Sogni…”. E nuovamente violenze arbitrarie rese più acute dal fatto che Silvio, il detenuto protagonista di questo racconto, “non lottava solo per i suoi diritti, ma lottava anche per i diritti degli altri detenuti” (p. 97), cosa intollerabile e che finirà per essere punita: durante una traduzione, verrà inscenata una finta fuga e una vera esecuzione.

APPLICARE LA COSTITUZIONE

Tradimenti anche tra detenuti (non esiste solidarietà, dentro, ma forme di intesa, subito stroncate dall’Assassino dei sogni…), nessuna forma di ‘fuori’ possibile e, soprattutto, più nessuna ‘domanda’: le nostre società hanno appreso bene l’arte della punizione di malviventi/ribelli/etnie/intere classi sociali, e solo si fa ‘garantista’ per difendere gli interessi della più mediocre e violenta cricca politica che l’Italia repubblicana abbia mai avuto. L’opinione pubblica nella sua quasi interezza ha interiorizzato lo schema della colpa-punizione esemplare, magari di ex amici, e sempre nella speranza di non incappare mai nel meccanismo: persino il diritto internazionale viene nutrito da questa mentalità. Come ogni critica all’istituzione carceraria diventa complicità con chi delinque, così anche ogni critica alla guerra permanente viene spacciata per sostegno ai tiranni. Il libro di Carmelo Musumeci invece proprio a questo ci spinge, alla critica radicale della ragione punitiva, anche toccando l’intoccabilità di mostri giuridici quali il 4 bis e il 41 bis[3], per un’applicazione semplice della Costituzione italiana. Soluzioni come la prigione dura e senza fine, e la guerra in campo internazionale, altro non fanno che perpetuare miserie e sofferenze sempre più indicibili.

——————————————————————————–

[1] Gli uomini ombra e altri racconti, San Pietro in Cariano-VR, Il Segno dei Gabrielli ed., 2010, pp. 175, con la collaborazione dell’Associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII” e interventi di Nadia Bizzotto, Giuseppe Angelini, Vauro Senesi, Giovanni Russo Spena e Mario Cevolotto.

[2] “Quando iniziai a occuparmi dell’attivismo contro il carcere alla fine degli anni Sessanta, rimasi sconcertata nell’apprendere che i detenuti erano quasi duecentomila. Se qualcuno mi avesse detto che in tre decenni il numero delle persone in gabbia sarebbe decuplicato non ci avrei creduto (…). La popolazione statunitense è inferiore al 5% del totale mondiale, mentre gli Stati Uniti possono vantare più del 20% dell’intera popolazione carceraria…” (p. 17 in Angela Davis, Aboliamo le prigioni? Contro il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale, Roma, minimum fax, 2009 -ed. originale 2003 e 2005-, pp. 263; l’ed. italiana contiene saggi di G. Caldiron e di P. Persichetti). Con Obama poco è cambiato.

[3] “…Chi è condannato a questo regime speciale è costretto a rimanere in cella ogni giorno per 20 ore, ad incontrare la propria famiglia per brevissimi momenti e perfino il diritto a colloquiare con il proprio difensore è ristretto a sole tre ore al mese…” (p. 169 del libro, art. “Uno sguardo oltre l’ergastolo ostativo”, di Mario Cevolotto, legale di Musumeci).

Informazione equidistante ed imparziale, che offre voce a tutte le fonti di informazione

Exit mobile version