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DIGNITA’ E PRESA DI COSCIENZA

Scrivere della situazione italiana ci sembra inutile. Lo fanno già in molti. Con tanta informazione, c’è da rimanere frastornati ed anche sconcertati. Così torniamo ad interessarci dei Connazionali all’estero che sono stati, per oltre 50 anni, motivo di nostro studio e meta d’informazione specifica. L’Emigrazione italiana ha origini, documentate, lontane. Anche se, ufficiosamente è iniziata assai prima. In ogni caso, agli inizi del 1800 cominciò l’esodo dalla Penisola. In una prima fase, non sempre ricordata, a lasciare il suolo patrio furono gli intellettuali, i patrioti, gli anarchici e gli artisti. Le mete preferite restavano nel Vecchio Continente. Soprattutto in Francia e nel Regno Unito. I motivi delle iniziali migrazioni erano di natura più morale, che esistenziale. I “liberi pensatori” nell’italietta degli staterelli erano, spesso, mal sopportati a casa loro. Quindi, l’estero poteva essere una meta possibile, uno sfogo al loro credo. Insomma, per anni fu la “cultura” italiana a lasciare la penisola per entrare nei salotti d’Europa. Dopo il 1860, con l’Unità d’Italia, l’Emigrazione si trasformò in popolare. Poi, la necessità prese il posto della cultura e furono migliaia gli italiani che scelsero di sopravvivere in altre contrade. Il primo picco di flusso migratorio, oltre Atlantico, si ebbe nel periodo tra il 1870 e il 1913. Dopo, riprese, alla conclusione del Primo Conflitto Mondiale. Con l’inizio del ‘900, gli italiani nel mondo iniziarono a privilegiare i rapporti di collaborazione con altre Comunità migrate. Iniziava, così, quella Promozione Sociale della collettività italiana che sarebbe andata avanti sino al 1975, con lento ma progressivo, decremento. Poi, il fenomeno associativo, non fu più quello di un tempo. Aveva, però, rappresentato un nuovo modo d’essere presenti in terra “straniera”. Nello stesso periodo, provarono ad affermarsi all’estero anche le forze sociali nazionali. Andò male per il loro palese legame con le forze politiche illiberali che iniziavano a radicare in Italia. Per tentare d’evitare ogni sorta d’isolamento ( morale, culturale, sociale) furono fondate le “Case d’Italia”. Soprattutto nel Nord e Sud America. Il periodo tra le due guerre mondiali fu caratterizzato da una progressiva presa di coscienza dei Connazionali nel mondo. Intorno agli anni ’30, furono varate, con un certo successo, i “Circoli per Famiglie”. Luoghi ove si ritrovavano italiani e cittadini dei Paesi ospiti. Era l’iniziata, spontanea, quell’integrazione che oggi è messa in discussione come causa di disinteresse verso il Paese d’origine. Poi, il Secondo Conflitto Mondiale. Con un periodo meno nobile per gli italiani emigrati. Finita la guerra, i contatti socio/culturali ripresero e l’emigrazione ebbe nuovi picchi massimi. Nel gennaio del 1948, fu fondato in Gran Bretagna il primo giornale europeo in lingua italiana “LA VOCE DEGLI ITALIANI”. Testata ancora vitale che, dal 2012, passerà la sua attività sul web. Con l’inizio del Terzo Millennio, il termine “Emigrazione” ho mutato significato e finalità. E’ l’Italia ad essere diventata ambita terra d’immigrazione. Quasi che l’epopea riprendesse da dove era iniziata. Certo è che in oltre duecento anni d’emigrazione, documentata, gli italiani hanno dimostrato, non solo spirito d’adattamento, ma anche grande iniziativa a livello artigianale e di convivenza. Ora si cerca di cambiare le carte in tavola, quasi che la nostra Emigrazione non faccia più parte della nostra storia e della nostra cultura. A nostro avviso, appoggiare una simile tesi sarebbe grave e fuorviante. Gli italiani all’estero hanno saputo fornire prova di grande dignità. Sempre e comunque. Ora chiedono segnali di una presa di coscienza nazionale che sembra venir meno. I milioni di Connazionali oltre frontiera non sono demotivati (il mantenimento della cittadinanza n’è una prova) e hanno il diritto d’avere in Patria quei riconoscimenti che, all’estero, li hanno fatti apprezzare e ben volere. Sta a noi, ora, essere coerenti col nostro passato per poter garantire a tutti un migliore futuro.

Giorgio Brignola

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