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IL CATTOLICESIMO ITALIANO àˆ PIà™ DINAMICO DI SANDRO BONDI

Ho letto con interesse, il 30 Settembre del 2011, un intervento di Sandro Bondi su “Il Foglio”. In sostanza, l’articolo di Bondi ruotava intorno a tre grandi idee-guida, tutte ovviamente riconducibili alla visione dell’Autore e in concreto analizzabili, magari attribuendovi un segno opposto:
-Bagnasco non ha lo stesso acume tattico-politico di Ruini;
-non v’è futuro per la rappresentanza politica dei cattolici al di fuori del PdL;
-il PdL ha prodotto leggi coerenti rispetto all’ispirazione del Magistero.
Proprio perché è universalmente ritenuto opportuno sviluppare il dialogo e il confronto su tali tematiche, provo a smentire o, comunque sia, ad integrare queste tre “voci” dello scritto di Bondi.
Tanto per cominciare, l’osservatore politico e lo studioso dei documenti ufficiali della gerarchia ecclesiale possono convergere su un dato: tra Bagnasco e Ruini vi sono sicuramente differenze, ma da qui a breve non sarà difficile individuare dei segni di continuità, piuttosto che delle nette e incontrovertibili cesure, tra i due modi di impostare organizzazione e comunicazione della Conferenza Episcopale Italiana. Una cosa forse è cambiata (ed è ben logico che a Bondi non entusiasmi): Bagnasco ha tuonato per il ripristino di un codice morale minimo, di un’impostazione sobria, nella vita politica italiana; in Ruini attacchi così precisi non se ne trovano, ma anche i più intransigenti oppositori di quell’esperienza riconoscono che il personaggio è stato tutto fuorché lassista nell’affermazione di chiare coordinate etico-comportamentali.
Quanto alla rappresentanza politica dei cattolici, il PdL, sin dalla sua fondazione, ha fallito l’obiettivo di dare organicità e unitarietà al voto religiosamente ispirato (sic!), nella misura in cui, sin da quando il PdL è stato fondato, numerosi esponenti dell’intellettualità cristiana militavano pure in altri settori dell’agone politico (non è un mistero guardare all’UdC o al Partito Democratico, né è sostenibile che partiti di formazione più recente, come Futuro e Libertà per l’Italia o l’Api di Francesco Rutelli siano privi di un sostegno di base anche di matrice cattolica e certamente non anticlericale).
La risposta, osserverebbero tanto Ruini quanto Bagnasco, a questo obiettivo palesemente mancato, e in effetti mai dichiarato dagli stessi fondatori del PdL, sta nel fatto che sin da quando esisteva e governava la Democrazia Cristiana numerose personalità cattoliche avevano remore a confrontarsi con essa e, a maggior ragione, alla scomparsa del “partito bianco” la diversificazione dei partiti di afferenza si è riprodotta.
Il passaggio politicamente più interessante è forse il terzo… Il PdL è stato vicino al Magistero più nei settori in cui non ha legiferato rispetto a quelli in cui lo ha fatto. A ben vedere, non è intervenuto sulle unioni di fatto, non è intervenuto sui diritti delle persone omosessuali, non è intervenuto con provvedimenti realmente innovativi né sulla fecondazione medicalmente assistita, né sulla riforma delle adozioni. L’inerzia che lascia le cose immutate può esser facilmente scambiata come adesione al progetto di chi, in quelle materie, preferisce che non esista un testo legislativo di riferimento; ma portare alle estreme conseguenze questo ragionamento è una mera illusione ottica, perché nelle materie in cui si è provato ad adottare una chiara strumentazione legislativa (vedi il testamento biologico), i testi su cui ci si è misurati sono parsi pesanti, mal scritti, non del tutto coerenti con gli stessi intenti conservatori che, a parole, si sarebbe preteso di difendere. Su molte altre questioni, l’azione governativa è parsa dissonante rispetto all’attuazione di una qualsivoglia forma di spirito cristiano. Quanto alle politiche migratorie, il giro di vite sulle espulsioni, sui limiti giuridici all’accesso e all’integrazione, difficilmente può esser ritenuto compatibile con una visione inclusivista e garantista. Nondimeno, l’atteggiamento e l’orientamento sull’unità nazionale è parso incerto o addirittura ambiguo. È ancora questione storica dibattuta il ruolo dei cattolici nel Risorgimento, ma è, all’opposto, generalmente condivisibile che, specie a partire dal XX secolo, il pensiero cattolico, anche quello di matrice federalista, europeista, comunitarista e localista, abbia prodotto pagine meditate e serie sul tema dell’unità e delle istituzioni. Per non parlare dei temi economici, dove il peso di un’elaborazione laicale della dottrina sociale è molto blando: Caritas in Veritate e ultima Finanziaria non sembrano, per così dire, due facce della stessa medaglia (per quanto una parte del mondo cattolico abbia manifestato qualche accento critico anche sull’impostazione della celebre enciclica di Benedetto XVI). Insomma, Bondi avrà certamente un’idea chiara e attendibile di quelle che sono le tematiche più urgenti per la gerarchia e per il popolo dei fedeli; sarà indubitabilmente in buona fede nel pretendere che l’orizzonte politico del Cattolicesimo in Italia possa chiudersi nel PdL (bontà sua…), ma nell’analisi dell’attuale non ci pare che colga nel segno, nella coscienza di chi, in questo Paese, è cattolico, senza pretendere che sia il nitore del suo credo a dover dettare l’agenda del dibattito parlamentare.

Domenico Bilotti

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