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Gli italiani dimenticati della Savina Caylyn

Dall'8 febbraio 2011 la motocisterna Savina Caylyn è in mano ai pirati somali nell'oceano Indiano. A bordo ci sono 5 italiani e 17 indiani. Vivono in condizioni estreme e sono sottoposti a torture. I delinquenti che li tengono prigionieri hanno chiesto un riscatto agli armatori, i fratelli D'Amato, per ora senza esito. Lo Stato italiano non è riuscito a far nulla, né per vie diplomatiche, né per vie militari e si rifiuta di pagare alcun riscatto. Il padre di uno dei marinai a bordo della Savina Caylyn ha ricevuto una telefonata disperata dal figlio che, in sostanza, preannuncia la sua prossima morte. Dove sono la Farnesina e il ministero della Difesa? Chi può si attivi al più presto.

Intervista a Adriano Bon, padre di Eugenio:

Lo Stato rispetta la legge (espandi | comprimi)
Buongiorno agli amici di Beppe Grillo. Io chiamo voi e chiamerò altri perché ormai ho bisogno del popolo. Abbiamo un grosso problema di sopravvivenza, di salvezza di vite umane. Forse non tutti sanno che la nave petroliera Savina Caylyn è stata sequestrata dai pirati somali l’8 febbraio, quindi oggi sono più di sette mesi, quasi sette mesi e mezzo che cinque italiani e diciassette indiani sono segregati su questa nave, sottoposte a sevizie, a torture,con poco cibo, poca acqua, 40/50 gradi di calore, non si possono lavare, hanno sempre gli stessi stracci addosso senza potersi lavare, senza servizi igienici, sono in condizioni minime di sopravvivenza e lo Stato Italiano non può far nulla per liberarli. È una cosa curiosa. L’armatore, che è il loro datore di lavoro non paga il sequestro. Lo Stato dice che non può pagare perché lo Stato è ligio alle leggi, la legge dice che non si deve pagare i criminali. Per cui siccome lo Stato non sgarra mai, non tira fuori una lira per salvare le vite umane. Possono soltanto, con l’intellingence e i satelliti e i radar, tenere sotto osservazione la nave, ma questo non porta alla loro liberazione. Ormai ci siamo rivolti a tutti, a tutti i politici di destra e di sinistra, perché la vita umana dovrebbe interessare a tutti, a tutti i livelli, i livelli più alti, addirittura anche al Papa, a Napolitano, a Frattini, al Ministero degli Esteri e sembra che nessuno possa fare nulla per salvarli. È una cosa incredibile che il potente Stato italiano non possa salvare la vita a venti persone in mano ai pirati. Adesso noi famiglie di cinque italiani, ormai non abbiamo altro da fare che rivolgerci al popolo, che faccia pressione, che l’opinione pubblica spinga e faccia vergognare tutti quelli che potrebbero far qualcosa per salvarli e non lo fanno. Ecco, quello che mi ha veramente distrutto il cuore è quando l’ho sentito l’altro giorno. Io non lo sentivo dai primi due mesi, perché i primi due mesi lui poteva telefonare ogni tanto, tutti potevano telefonare e ancora la situazione non era grave, diceva solamente che hanno finito i loro rifornimenti, quelli della nave, e che d’ora in poi dipenderanno dai pirati. Dopodiché ha parlato soltanto… di volta in volta chiamava o il comandante della nave, o il direttore di macchina e man mano che passava del tempo erano sempre più disperati perché le condizioni erano pesantissime.

L'ultimo appello (espandi | comprimi)
Mio figlio non aveva mai chiamato e io, sapendolo robusto e giovane, speravo che potesse resistere sufficientemente a quella situazione e invece ieri veramente è stato agghiacciante: mi ha telefonato e piangeva al telefono, aveva una voce irriconoscibile, balbettava e chiedeva a me, suo padre, mi diceva: “Ora ho capito che il nostro datore di lavoro non ci può più salvare, non gli interessa di pagare il riscatto e ci lascia morire. Ho capito che lo Stato non può far niente per noi. Papà, sei solo tu ancora che puoi salvarmi. Fa qualcosa per salvarmi la vita perché non so quanto tempo ancora io potrò resistere. Le gambe non mi tengono più, non le sento più, ho tutta la pelle rovinata, ci torturano e ci legano per buona parte della giornata, salvami tu perché non ci sono altre speranze”. Ecco, questo è stato drammatico. Il Cavaliere Luigi D’Amato, Cavaliere del lavoro, probabilmente il suo nobile titolo di cavaliere lo usa per accumulare denaro e non per salvare la gente, immagino. È una grossa compagnia di navigazione, con la sua assicurazione sono disposti a mettere una piccola cifra ma non quella che chiedono i pirati. Per cui c’è questo braccio di ferro, aspettano che i pirati abbassino la cifra, intanto questi stanno morendo. E lo Stato, appunto, come ho già detto all’inizio, dice: “Noi non possiamo pagare perché siamo… la legge dice questo”, infatti le famose cattedrali nel deserto, miliardi spesi, spesi neanche quello è legale, però quelle succedono, nessuno paga, lì si sprecano, ma per salvare delle vite umane non si può pagare perché la legge dice così.
L’appello è al popolo: “Mobilitatevi e aiutateci a fare pressioni in tutti i modi che potete sullo Stato, sul governo e sull’armatore”. Questo è l’ultimo appello, non ci sono altri, tutti gli altri sono stati fatti e non hanno avuto nessun riscontro.

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