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La nuova Tunisia

di Vittorio Craxi

Non sono bastati i 'poster' che invitavano, quest'anno, a “venire in Tunisia”. Il primo mese d'agosto di post-rivoluzione e ramadan risente della crisi economica e dell'incertezza politica: pochi turisti, molta discussione pubblica sul futuro, moti e disordini qua e là nelle zone più calde del Paese, qualche sciopero a singhiozzo nei trasporti pubblici, una manifestazione di protesta congiunta magistrati-avvocati preannunciata per il quindici. Scarseggiano zucchero e acqua minerale, la grande distribuzione preferisce ingrossare i suoi affari rifornendo la disastrata Libia e, piano piano, ci si avvia verso il 'countdown' che separa i tunisini dalle elezioni dell'assemblea costituente del 25 ottobre. Le prime elezioni libere, di fatto, dall'indipendenza del 1956. Ma cosa è cambiato e come sta cambiando il Paese dei gelsomini? All'orgoglio nazionale di aver avviato per primi il processo di cambiamento che ha contagiato il mondo arabo si sta sostituendo l'incertezza e la consapevolezza che gli elementi di crisi, accelerati da un regime che soffocava libertà di espressione e d'impresa e tralasciava lo stato di degrado di molte parti del Paese, non potranno essere rimossi dall'avvio di un processo politico e democratico, ma s'inscrivano nel più generale fronte di incertezza economica e politica che investe il nord Africa e il Maghreb. Se ritorna stabilità in Libia, se il fronte algerino sarà in condizione, al pari di quello marocchino, di assimilare le esigenze di ricambio, se l'Europa mediterranea smetterà i panni del vicino ora gendarme ora compassionevole adottando un agenda politica nuova avendo affrontato i cambiamenti senza bussola, allora anche la piccola Tunisia troverà giovamento dai cambiamenti da lei stessa provocati; diversamente, sempre di più e con passo spedito, l'orizzonte verso il quale si rivolgeranno tanto le classi dirigenti che quelle diseredate di questo popolo sarà quello delle potenze economiche dell'area più omogenee sul piano politico e religioso, la Turchia di Erdogan ma anche il lontano Golfo le cui nazioni guida sono attivissime nel sostenere il Partito di riferimento islamico H'nada, ma anche i gruppuscoli ultraminoritari salafisti, tanto piccoli quanto rumorosi e facinorosi. Il Partito islamico rappresenta sulla carta l'avversario politico da battere: non e' stato il 'mallevadore' della rivoluzione, ma è quello che sul piano politico e sociale sta rappresentando una reale novità. La società tunisina è infatti attraversata e separata in modo verticale dalle tue tendenze culturali: quella laico-modernista, eredità dei primi sessanta anni di indipendenza e quella religiosa, con evidente ed esplicito riferimento alle esperienze delle società che fondano sui precetti coranici la loro identità e le loro leggi. I primi segnali di queste tendenze culturali ci sono, anche evidenti: non solo l'aumento di donne velate e di preghiere svolte al di fuori dei luoghi di culto, ma anche l'innalzamento del volume dei muezzin, che i regimi di Ben Ali e Bourguiba avevano ostentatamente tenuto sottotono. Le discussioni pubbliche non sono soltanto di ordine teologico – i musulmani tunisini sono in maggioranza di ordine sunnita – ma riguardano l'interpretazione che in particolare i fuoriusciti, oggi rientrati, danno della modernità. “Essa”, scrivono alcuni, “non è più data dal mondo occidentale ormai in stato di crisi: saranno le potenze asiatiche insieme al mondo islamico a dominare il mondo nel futuro. E il segnale divino per i Tunisini”, dicono, “è stato esplicito: da qui inizia il riscatto del nuovo Impero Ottomano”. Ed è per questa ragione che già il leader islamico Ghannouchi ha fatto riferimento alla necessità di dar vita a un califfato tunisino. Non si tratta di rispolverare l'adagio di Huntington. Tuttavia, la società tunisina si trova ad affrontare l'effetto paradossale di aver varcato la porta, nel nome della dignità della persona, della democrazia e del cambiamento a processi di involuzione della società che vede insidiate le proprie conquiste di laicità proprie dello storico e antico territorio nordafricano. Un amico avvocato, liberale e tollerante, mi ha detto esplicitamente che preferirebbe vivere in una società islamizzata ma in sicurezza e tranquillità, piuttosto che in una società aperta ma insidiata permanentemente da fattori d'instabilità. Nel pomeriggio di sabato si è tenuta una manifestazione della maggioranza 'silenziosa' ad Hammamet per la “riconciliazione con i corpi della polizia”: commercianti e albergatori in prima fila, contestatori ai lati della strada. La rivoluzione, con le sue contraddizioni, è in cammino: si trova un po' di quiete solo nel vecchio cimitero cristiano che s'affaccia verso il nord e le rotte malinconiche e tragiche della speranza. La Tunisia è ritornata al centro del Mediterraneo, come l'antica Numidia: terra di predicatori, navigatori, predatori e guerrieri.

Responsabile della Politica estera del Partito socialista italiano
(articolo tratto dal quotidiano 'il Riformista')

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