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ANCHE IN QUESTO CASO, CHI PUO’ MI SMENTISCA ALLORA, COSA E’ STATA QUESTA RESISTENZA?

di Filippo Giannini

Nel verbale della Guardia Nazionale Repubblicana (Archivio Centrale dello Stato, Fondo Gnr, c. 36, f.VII, sf.8. si legge: . Nessuno ha rivendicato quell’attentato, nessuno ha indicato l’autore, nessuno ha saputo spiegare le motivazioni. Rimane il fatto condannabile in quanto diretto contro la popolazione civile, persone che erano attorno all’autocarro tedesco carico di bidoni di latte, distribuito gratuitamente. È una storia che merita di essere raccontata. Il fatto è avvenuto a Milano, ma poteva accadere in qualsiasi altra città del Centro-Nord.
Principalmente dopo le sconfitte dell’Asse in Russia e in Africa del nord, i capi Alleati imposero l’ordine indicato come Moral Bomber, accompagnato da questo incitamento di Winston Churchill: . Di conseguenza gli aerei alleati, ormai padroni degli spazi aerei, possono sciamare indisturbati, mitragliando qualunque cosi si muova, perfino il singolo ciclista. L’afflusso di viveri dalla campagna si riduce quasi a zero e nelle città si muore letteralmente di fame. E, di conseguenza, la crisi colpisce soprattutto i bambini e, particolarmente i neonati; le loro madri hanno poco latte. Spinto da impulso personale, un anziano sottufficiale della Wehrmacht, quando può, si muove con un piccolo camion fa il giro delle campagne a procurare del latte e, tornato in città, parcheggia il mezzo sempre nella stessa località, a Viale Abruzzi il sottufficiale tedesco provvede alla distribuzione del prezioso alimento. Alle nove una mano misteriosa depone sul sedile dell’automezzo una bomba. Riportiamo quanto ha scritto lo storico Franco Bandini su Il Giornale del 1 settembre 1996: . “Affare italiano”, ma non tutti sono d’accordo. Questo di Viale Abruzzi non è che uno dei tanti attentati e ciò rende il comando germanico furioso. Uno degli addetti al comando era il capitano Theodor Saevecke che ordina una rappresaglia nella misura di uno per uno. A questa si oppongono il cardinale Schuster, il prefetto Pietro Barini che si dimette. Mussolini invia una protesta all’ambasciatore tedesco presso la Rsi, Rudolf Rahn, accompagnandola con queste parole: . Niente da fare! Theodor Saevecke pretende la rappresaglia e compilò lui stesso la lista, come testimoniato da Elena Morgante, impiegata nell’ufficio delle SS, cui fu ordinato di battere a macchina i nomi dei 15 ostaggi, imprigionati nelle carceri di Milano. Ecco i nomi: Gian Antonio Bravin (28 febbraio 1908), partigiano del varesotto e capo del III gruppo GAP (Gruppo Azione Partigiana); Giulio Casiraghi (17 ottobre 1899) incaricato ai rifornimenti di armi alle formazioni partigiane; Renzo del Riccio (11 settembre 1923) partigiano delle formazioni Matteotti operante nel comasco; Andrea Esposito (26 ottobre 1898) partigiano della 113° brigata Garibaldi; Domenico Fiorani (24 gennaio 1913) appartenente alle brigate Matteotti; Tullio Galimberti (31 agosto 1922) membro della 3° brigata d’assalto Garibaldi GAP; Emilio Mastrodomenico (30 novembre 1922) capo dei GAP; Angelo Poletti (20 giugno 1912) partigiano in Val d’Ossola, appartenente alla 45° brigata Matteotti; Salvatore Principato (29 aprile 1892) membro della 33° brigata Matteotti; Andrea Ragni (5 ottobre 1921) partigiano formazione Garibaldi, Eraldo Soncini (4 aprile 1901) appartenente alla 107° brigata Garibaldi; Libero Temolo (31 ottobre 1906 partigiano delle SAP: Vitale Vertemati (26 marzo 1918) partigiano della Garibaldi GAP; Umberto Fogagnolo (2 ottobre 1911) rappresentante del Partito d’Azione; Vittorio Gasparini (30 luglio 1913) incaricato della trasmissione radio messaggi clandestini. Come si vede dall’elenco 13 erano partigiani riconosciuti e i due ultimi dell’elenco, anche se coinvolti nella Resistenza, non risultano partigiani. Così il 10 agosto successivo i quindici ostaggi vennero fucilati dai militi della legione Ettore Muti, eseguendo l’ordine di Saevecke il quale, affidando la fucilazione ad una formazione italiana intendeva rimarcare che era un affare italiano, ignorando le proteste di Mussolini, di Schuster e del prefetto italiano. Ma la spirale della pazzia continua con l’ordine dato dal CLNAI alle formazioni partigiane di montagna di procedere, quale rappresaglia alla rappresaglia, alla fucilazione di 30 militi della Rsi e di 15 tedeschi prigionieri, appunto, dei partigiani.
Quale era la figura e la legittimità del partigiano?
Da Diritto Istituzionale, pagg. 583-584: . È facile dimostrare che il partigiano non rispettava alcuna di queste norme imposte dalle Convenzioni Internazionali del tempo; quindi il partigiano era un illegittimo combattente.
Cosa prevedeva il Diritto Internazionale per l’illegittimo combattente? Pag. 584, art. 4: .
A convalidare quanto disposto dal Diritto Internazionale, c’è una sentenza del 26/4/1954, quindi ampiamente dopo la fine delle ostilità, emessa dal TRIBUNALE MILITARE, sentenza che mandò in bestia i più alti esponenti dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), essa attesta: . E cosa prevedeva la suddetta sentenza al riguardo delle forze della Rsi e dei partigiani? Essa attestava: . E di seguito: .
…e le rappresaglie? Sempre dal Diritto Internazionale, pag. 792, art. 2) .
Prima considerazione – che ritengo assolutamente superflua – il partigiano era un illegittimo combattente, ma la sua azione poteva condurre alla rappresaglia, di contro il combattente della Repubblica Sociale Italiana era un legittimo combattente in quanto, al contrario del partigiano, rispondeva, per essere tale, a tutte le condizioni sopra riportate. Ma le situazioni che producevano la lotta clandestina hanno condotto a situazioni ancora più gravi, situazioni che sono molto, ma molto poco note al grande pubblico. Infatti: quali erano le finalità della lotta clandestina o partigiana, comunque la vogliamo chiamare?
Diamo ora uno sguardo come i partigiani (specialmente quelli comunisti che erano la stragrande maggioranza) seppero approfittare e sfruttare l’ignobile diritto della rappresaglia. Il democristiano Zaccagnini lasciò scritto: . E ancora più specificamente l’ex fascistissimo, poi super antifascista e capo partigiano Giorgio Bocca, ci spiega il perché degli attentati: . Cos’altro c’è da aggiungere? Vi ricordate le lacrimucce che versavano i vari esponenti delle formazioni partigiane quando andavano a commemorare le stragi nazifasciste alle Cave Ardeatine, a Marzabotto, a Piazzale Loreto o ovunque fossero avvenute queste orribili mattanze? Quei martiri (reali) furono uccisi per volontà dei capi del CLN e cito alcuni nomi dei responsabili di queste vigliaccate: Sandro Pertini, Luigi Longo, Palmiro Togliatti e tanti altri. Questi signori cercarono, pretesero e ottennero le rappresaglie così da far dei tanti innocenti assassinati, le finalità per le loro mire politiche. Questo spiega il perché tanti autori di attentati non si presentarono per salvare la vita di innocenti ostaggi: non fu per vigliaccheria, come molti li accusarono, ma semplicemente perché se lo avessero fatto, l’agognata rappresaglia non si sarebbe verificata.
Per completare la conoscenza del partigiano, esaminiamo anche il loro stile di lotta. Dal libro 7° GAP di Mario De Micheli – Edizioni Cultura Sociale, Roma 1954: . Dopo questo saggio di lealtà, di coraggio e di eroismo, leggiamo uno stralcio di cosa ha scritto Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny: .
C’è altro da aggiungere? Allora festeggiamo la Resistenza così come ci è stata tramandata.

P.S. All’inizio ho ricordato la Signora Elena Morgante, segretaria del capitano delle SS Theodor Saevecke, ebbene un amico lettore mi ha pregato di chiedere notizie della suindicata Signora. Se qualche lettore ha avuto modo di conoscerla, è pregato di comunicarmelo così che passerò notizie all’interessato. Grazie.

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