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Dieci anni di paura

Oggi l’Unità, da cui se ne è appena andata Concita De Gregori, tornata a scrivere su Repubblica con una lunga intervista a Marrazzo, che svela l’arretratezza di un maschio che dovrebbe essere alfiere del progressismo ed invece rivela quanto, anche a sinistra, gli uomini offendono, spesso, donne e democrazia; ha pubblicato un inserto di 12 pagine sull’11 settembre, a pochi giorni dal decennale dell’attentato che ha cambiato il mondo, valutato come il “primo evento storico mondiale” in senso stretto e rigoroso, poiché, le televisioni, hanno trasformato in tempo reale un evento locale in evento globale in modo che l'intera popolazione mondiale si è trasformata in una platea di testimoni oculari. E, ancora più importante, da qell’11 settembre è emerso un nuovo quadro della politica internazionale, caratterizzata dall'unilateralismo degli USA, cioè dal fatto che gli USA, rimasti l'unica superpotenza sulla scena mondiale, ha deciso le sue mosse di politica internazionale senza alcun riguardo né per gli alleati, né per le istituzioni internazionali, nel quadro dell'idea dell'esportazione della democrazia e dello “scontro di civiltà”, alimentato dalla presenza di un fondamentalismo islamico, frutto della paura di uno ” sradicamento violento delle forme di vita tradizionali”. Due anni fa, il linguista Noam Chomsky, ideatore della teoria generativista ed uno degli intellettuali più ascoltati negli Stati Uniti e nel mondo, nel saggio “Dopo l'11 settembre:Potere e terrore”, sosteneva che si debba parlare di terrorismo per ogni atto di aggressione che coinvolge una popolazione, quindi per ogni capitolo della storia presente e passata. Per antiterrorismo invece si deve intendere un determinato piano d'azione volto a rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia a sviluppare strumenti giuridici internazionali, a porre fine al finanziamento del terrorismo,a rafforzare la sicurezza aerea e a coordinare l'azione globale dell'unione Europea. Chomsky sosteneva anche che la reazione degli Stati Uniti al terrorismo sia stata a dir poco inspiegabile, sviluppata “dietro le quinte” attraverso la fornitura di ordigni e armi ad Israele per attaccare le zone più deboli del mondo islamico. Non so se quanto afferma il grande intellettuale sia esaustivo, ma certo, dopo l'11 settembre si è detto: “il mondo è cambiato”. E questo è tanto più vero perché implica un cambiamento non tanto delle nostre condizioni materiali, quanto del nostro atteggiamento mentale. Ed il perverso che si è infiltato in esso è quello di una eterna guerra di religione. Fino al 1989, il limite per lotte e separazioni era tenuto in piedi, non più, come nel remoto passato, su motivazioni religiose, ma prevalentemente ideologiche. Il mondo era diviso tra noi, il mondo dell'Occidente, il mondo del capitale e il loro, il mondo dell'oltrecortina, il mondo del comunismo. Quel limite è crollato e l'effetto di questo crollo è stato un esplodere di insicurezze. Poi, per dieci anni, abbiamo cercato un altro limite. Quello che è accaduto a New York l'11 settembre scorso, non è stato uno scontro politico o economico o di potere, non è stato un evento maturato sulla base di una ricerca di potere che addirittura forse riguarda più il mondo islamico che il mondo occidentale, ma è stato uno scontro di religione o di civiltà, senza tenere conto del fatto che l'Islam, come il Cristianesimo, non è una sola forma culturale e non è nemmeno in senso stretto una sola forma religiosa. Noi ci definiamo cristiani, ma poi ci sono i cattolici, i protestanti; così in Islam non c'è una sola forma culturale che definisca la fede.
E la pericolosità di questa nuova paura sta proprio qui: quando si comincia a dire che loro sono diversi da noi per motivi legati alla fede, allora davvero siamo di fronte a uno scontro che può diventare radicale. Questo pensava l’anno dopo l’attentato Roberto Escobar ed i fatti di questo decennio credo gli stiano dando ragione. Credo, pertanto, che ciò che piàù malignamente “Ground Zero” ci ha lasciato, è una sorta di cultura della paura o basata sulla paura, una paura che è confine simbolico e diffidenza per il diverso, con l’impressione di essere ad ogni istanti in pericolo di sprofondare le disordine. Che cosa succederebbe se fuori dalla porta ci fosse la selva, il selvaggio, il niente? Allora, stando ben chiusi in casa, noi immaginiamo che la nostra casa sia ben fortificata, quando, in realtà, non arriveremmo mai a questo niente, perché il niente per definizione non c'è. In verità dovremmo pensare che non esiste la diversità e che questa, piuttosto, la inventiamo noi, che dicendo “diverso”, abbiamo già deciso chi perseguitare. Un recentissimo sondaggio del Washington Post spiega che il 31% degli americani crede che l’Islam più istituzionale “incoraggi la violenza”. Da parte loro, i musulmani americani non nascondono un forte disagio. Il 55% (secondo una ricerca del Pew Research Center) pensa di essere ancora oggetto di pressioni e discriminazioni: controlli agli aeroporti, diffidenza a scuola e nei luoghi di lavoro, vandalismi contro moschee e centri di cultura islamica. I tentativi di raffreddare i toni si susseguono, da entrambe le parti. La Casa Bianca ha invitato il boxeur, inglese e musulmano, Amir Khan, alla sua celebrazione ufficiale dell’11 settembre. Lo sportivo, che da due anni risiede negli Stati Uniti, è continuamente bloccato e interrogato prima di prendere un aereo. E i musulmani USA, per ricordare la tragedia, hanno organizzato la campagna “Muslims for Life”, che prevede di raccogliere sangue, donato dagli stessi musulmani, in modo da salvare almeno 10 mila vite. L’equazione Islam/opposizione ai valori dell’Occidente è stata in questi anni nutrita dai politici della destra repubblicana. Un referendum passato in Oklahoma lo scorso 2 novembre, promosso dall’avvocato e deputato repubblicano Rex Duncan, ha bandito la legge islamica dalle corti dello stato. Nessun musulmano, in Oklahoma o in altre parti degli Stati Uniti, aveva però mai chiesto l’imposizione della legge islamica; e nessun tribunale aveva riconosciuto la precedenza della legge islamica sulla Costituzione. L’ascesa del Tea Party ha ulteriormente inasprito la situazione. E le cose non vanno meglio in Europa. La produzione, il marketing e la divulgazione di mostruosi nemici, sia reali che inventati, è da tanto tempo endemica nella società americana, e ha sempre funzionato alla perfezione, divenendo la forza d’inerzia usata per controllare la popolazione. Tutto ciò serve a mantenere l’economia americana in permanente stato di guerra. La creazione di orchi invisibili che diventano esseri malvagi dai poteri soprannaturali calza a pennello con il modo in cui è stato plasmato il popolo americano, sottoposto al lavaggio del cervello per anni dai film hollywoodiani e dalla televisione, in cui ricorrono costantemente i temi del bene contro il male, dell’immaginazione fantastica e del sensazionalismo e, ovviamente, l’obbligatorio lieto fine, che vede l’eroe buono trionfare sempre sul malvagio. La lotta contro il nemico dell’America, opportunisticamente scelto e studiato per corrispondere alle politiche e agli obiettivi di chi è al potere, viene di proposito impostata come una lotta tra eroi buoni e malvagi di un tipico film hollywoodiano, in cui l’America viene vista come la forza del bene che affronta il male che affligge il mondo, l’eroe che alla fine sempre trionferà, in un lieto fine che invece raramente, se non mai, si verifica nella realtà. Pochi mesi fa, quasi ad aprire le celebrazioni per il decennale della strage che ha inginocchiato l’America e mostrare che il gigante si è rimesso in piedi, con tempismo sospetto, viene ucciso Osama Bin Laden, ma subito ci si affretta a dire che, comunque, il terrorismo non è finito. In questi dieci anni gli uomini hanno delegato agli scienziati il compito di studiare un sistema che li aiutasse a non avere più paura. Ma, in realtà, la maggior parte dei device tende a rimuovere la percezione immediata della paura dalle coscienze, punta alla distrazione di massa e a lasciare che il terrore scivoli in luoghi bui della mente. Con tutte le intuibili conseguenze. Riguardando i giornali americani di dieci anni fa, si vede che già il 12 settembre c’era un riferimento a ground zero, un termine che era immediatamente stato adottato dalle squadre di pronto soccorso medico per indicare il punto cruciale in cui cercare di dare assistenza a feriti ed eventuali sopravvissuti. Inizialmente ground zero appariva tra virgolette con la G e la Z minuscole, poi è stato scritto in minuscolo, ma è diventato mastontico e spaventoso nella coscienza occidentale. Un mostro spropositato che non si cancella nelle menti e nei cuori, neanche ora che, ogni giorno, 3200 operai lavorano con turni da dieci ore sei giorni alla settimana, a volte addirittura sette, per cancellare esternamente la voragine.

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