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Sequestrati

Francesco Azzarà, 34 anni, originario di Motta San Giovanni, paesino in provincia di Reggio Calabria, operatore italiano di Emergency, è stato sequestrato domenica a Nyala, capitale del sud Darfur. Oggi Abdul Karim Moussa, vice governatore del sud Darfur , ha dichiarato alla sudanese Media Center, che il volontario italiano “sta bene, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico” e che le forze di sicurezza sudanesi “stanno stringendo il cerchio” intorno ai rapitori. Il governatore ha precisato che i responsabili del sequestro “si trovano ancora nel sud Darfur” e che le autorità non intendono “pagare alcun riscatto”, lasciando intendere che potrebbe essere arrivata una richiesta di pagamento da parte dei sequestratori. Scrive on line Lettera43, che il sequestro dell'italiano è l'ultima di una serie di azioni dimostrative firmate dai ribelli per portare l'attenzione internazionale sulla repressione del governo di Karthoum. Il governo del presidente sudanese Omar Hassan al Bashir, a poco più da un mese dalla nascita dello stato del sud Sudan, sembra terrorizzato dall'effetto “Juba”. Il timore è che l'indipendenza del Sud possa gonfiare di entusiasmo e speranze anche altre etnie del Paese, a cominciare dai darfuriani. Se Bashir perdesse il controllo del Darfur, ha spiegato a Lettera43.it Antonella Napoli, presidente della Ong Italians for Darfur, perderebbe l'opportunità di accedere ai ricchi giacimenti di petrolio che si trovano a confine col Ciad (ancora da estrarre) e i preziosi bacini di acqua che si trovano nel sottosuolo dell'altopiano del Jabelmarra. La stessa Antonella Napoli su Repubblica, ci dice che gli echi di rapimenti, di scontri e di nuove vittime in Darfur riportano alla ribalta una delle più gravi crisi umanitarie in corso nel mondo. Il successo di un progetto che aveva ridato una “vita normale” a migliaia di profughi aveva animato una flebile speranza: qualcosa nella regione sudanese martoriata da una guerra civile iniziata nel 2003 stava cambiando. Un milione di sfollati aveva lasciato i campi profughi, che li avevano accolti dopo la fuga dagli scontri e dai bombardamenti, per far rientro nei villaggi di origine, stando a un recente rapporto dell'Onu, l'espulsione di Oxfam, Care International, Medici senza frontiere e Save the Children, ha determinato la sospensione di programmi speciali di alimentazione destinati a migliaia di bambini affetti da grave malnutrizione e alle donne in stato di gravidanza e ha messo a rischio anche le cure sanitarie e i ripari per centinaia di migliaia di persone. Se Khartoum e le Nazioni Unite non riusciranno a colmare al più presto tali lacune le condizioni di vita di 1 milione e 800 mila persone dipendenti dagli aiuti alimentari si deterioreranno ulteriormente. La situazione si aggrava di giorno in giorno. Si susseguono segnalazioni di attacchi sia nell'area ad est di Nyala, capitale del Sud Darfur sia nel Nord, nei dintorni di Al Fasher. In Darfour i massacri continuano e, come ci informa l’associazione Italian for Darfour (vedihttp://www.italianblogsfordarfur.it) , è ormai chiaro che il contingente autorizzato dalla risoluzione approvata all'unanimità dal Palazzo di Vetro nel 2007, e rinnovata a fine luglio, è una parodia, una farsa mediatica che ha visto semplicemente i caschi verdi dell'Ua indossare quelli blu dell'Onu. E’ piuttosto strano, comunque, il rapimento del volontario italiano, dal momento che Emergency è ben voluta in Sudan, dove opera dal 2004. Alla periferia della capitale ha creato il centro Salam di cardiochirurgia, l’unica struttura specializzata e gratuita in una fetta d’Africa con 300 milioni di abitanti e dallo scorso anno il Centro pediatrico di Nyala assiste i bambini fino ai 14 anni. Mentre per Azzarà sembra comunque prossima la liberazione, restano in mano ai pirati somali dallo scorso 8 febbraio, i marinai italiani della Savina Caylyn, che recenti foto (risalenti al 9 giugno) inviate per fax, ritraggano davvero in pessime condizioni. La nave, con a bordo un equipaggio di 22 persone, 17 indiani e 5 italiani, fu sequestrata dai pirati in pieno Oceano Indiano, a 880 miglia dalle coste somale e a 500 miglia dall'India. Nelle foto i prigionieri appaiono spaventati e sotto la minaccia di mitragliatrici puntate loro contro da pirati che sembra siano nel più dei casi minorenni e hanno il volto coperto dalle kefiah e le cartucciere con le munizioni al collo. Nelle foto si vedono tre italiani scalzi, seduti per terra, i polsi legati da grosse cime. In alcuni immagini indossano una maglietta, in altre sono a torso nudo e stringono in mano o un pugno di riso o hanno delle taniche. Come ha scritto il Mattino di Napoli, l'ultimo contatto tra il capitano della nave, il procidano Giuseppe Lubrano Lavadera e la moglie risale al 16 giugno. In quella telefonata il comandante fece presente le condizioni dettate dai pirati per il rilascio precisando che per ogni mese in più la richiesta di riscatto sarebbe aumentata di 250 mila dollari. In più il comandante riportò la minaccia fatta dai pirati di decapitare un membro dell'equipaggio nel caso le richieste non fossero state esaudite. La moglie, Nunzia Nappa, ha lanciato, nei giorni scorsi, un ennesimo appello alle istituzioni perché si faccia presto per garantire una soluzione positiva alla vicenda. Quello della pirateria è un fenomeno in netta crescita, da almeno tre anni, una autentica emergenza dagli elevatissimi costi umani ed economici che non riesce però ad attirare la necessaria attenzione da parte dell'opinione pubblica e in particolare dei Governi. Secondo i dati dell'Imb (Piracy Reporting Centre) la pirateria ha raggiunto il suo massimo storico nel 2010 con 445 attacchi, 53 navi sequestrate e 1.181 marittimi catturati. Un fenomeno che non accenna a diminuire considerando che, nel corso del 2011, sono stati denunciati, 211 nuovi attacchi, con 26 navi e 522 marittimi ancora ostaggio dei pirati, mentre 7 persone hanno perso la vita. Quella della pirateria è dunque un'emergenza globale che ha indotto la Ics (International Chamber of Shipping) a riferirne presso l'Ocse, durante il forum internazionale dei trasporti, tenutosi tra il 25 e il 27 maggio scorsi in Germania. Il trasporto per via marittima riguarda l'80% del commercio mondiale e i danni economici sono ingenti. Solo in termini di riscatti pagati, si calcola che, nel 2010, 238 milioni di dollari siano finiti nelle tasche dei pirati somali mentre i costi assicurativi per gli armatori sono aumentati in maniera esponenziale fino a superare i 3 miliardi di euro all'anno. Ci sono poi le spese militari sostenute per cercare, infruttuosamente, di arginare il fenomeno: in questo caso sono circa 2 i miliardi di dollari che vengono spesi ogni anno. Arrestare i pirati non è facile e comporta ulteriori costi: le spese per la detenzione dei malviventi e per i loro processi ammontano a oltre 30 milioni di dollari all'anno. Questi sono solo alcuni dei costi a cui vanno aggiunti quelli per le attrezzature di sicurezza, per i cambiamenti di rotta, per le organizzazioni che combattono la pirateria e per i danni alle economie locali. In totale la Ics stima che i costi della pirateria si aggirino fra i 7 e 12 miliardi di dollari per anno. Oltre alla Savina Caylyn c'è un'altra nave italiana in mano ai pirati somali: la motonave Rosalia D'Amato, con un equipaggio di 22 uomini (fra cui sei italiani), sequestrata la mattina del 21 aprile 2011. In questo caso, non sono ancora trapelate notizie sulle condizioni degli ostaggi né sono state consegnate richieste di riscatto. Inoltre, si è appreso a maggio scorso, che, dal canto suo, la Marina indiana non andra' piu' a caccia di pirati somali, che venivano arrestati e portati nella prigione di Mumbai, poiché quel governo ha deciso un cambiamento nella sua politica per via delle ritorsioni dei pirati contro i marinai indiani, che rappresentano il 10 per cento sul totale. Al momento in marinai nelle mani dei pirati somali, secondo fonti indiane, sono 43 e il Primo ministro Manmohan Singh ha chiesto alle Nazioni Unite di intervenire contro il pericolo pirateria. Come ha scritto Michele Avino, esperto del fenomeno, nel 2009, la pirateria marittima è un fenomeno complesso che nasce in un “laboratorio bellico naturale”come la Somalia, in guerra permanente dal 1991 laddove le organizzazioni dedite alla pirateria hanno prosperato approfittando anche della debolezza delle istituzioni governative somale. Il fenomeno della pirateria marittima non può essere analizzato se non in stretta relazione con la situazione somala trattandosi essenzialmente, di una questione di ordine pubblico che di fatto la Somalia non riesce a contrastare. In effetti i riscontri di indagine consentono di rilevare che la pirateria registra una recrudescenza a partire dal 2006 anno in cui le “corti islamiche” furono estromesse dal potere governativo. Inoltre, va aggiunto che, la popolazione somala non vede la pirateria come un fenomeno negativo da contrastare e in un contesto di estrema povertà, i milioni di dollari provenienti dai riscatti costituiscono una fonte di reddito non solo per i pirati ma anche per le località che ospitano i santuari del crimine. In tal senso si spiega il fatto che mediamente la popolazione somala non comprende l’investimento del mondo occidentale con lo spiegamento di forze navali nell’area per il controllo del traffico marittimo ritenendo che gli stessi
Paesi potrebbero garantire, con donazioni, sollievo alla povertà che pervade la Somalia.

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