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Due libri per l’indignazione

“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia”
Giordano Bruno

Abbiamo il giusto stato d’animo, dopo la manovra lacrime e sangue per i soliti noti, varata dal governo, con tagli in due anni per 45,5 miliardi, tutti concentrati su famiglie e ceto medio, con ulteriore stretta sul welfare , nessuna risorsa per la ripresa e nessun “fastidio” per i ricchi e gli evasori, per leggere, in questa “ferie d’agosto”, due libri che descrivono la cultura, la morale e lo stato di una Nazione che paga tasse norvegesi ed ha servizi centro-africani. Il primo libro è “Vandali” (Rizzoli), ultima fatica del binomio de “La Casta” Stella e Rizzo, dove si racconta che l’Italia, che ha da poco infranto il tetto di un debito pubblico del 120% del Pil, da tempo sta anche distruggendo le sue due ultime ricchezze: arte e paesaggio. Eravamo i primi al mondo nel turismo ed ora siamo scivolati al 28Ëšposto, mentre la politica è troppo concentrata sui suoi privilegi per potersene occupare. A Pompei crolla la Schola Armaturarum, l’ultimo mosaicista è andato in pensione dieci anni fa, c’è un solo archeologo per 66 ettari di scavi, un accordo sindacale vieta agli elettricisti di salire su scale più alte di 70 cm. In Sicilia, a due passi da Selinunte, dove il tempio di Apollo resta coperto per undici anni da un’impalcatura solo perché nessuno la smonta, c’è un’intera città di 5000 case abusive, di cui 800 così al di fuori da ogni norma da non rientrare in nessuno dei numerosi condoni edilizi, eppure non si è mai vista una ruspa. In un’epoca in cui le scelte turistiche si fanno sul web, il portale governativo Italia.it, dopo sette anni e milioni di euro buttati, ha raggiunto il 4562° posto nella classifica dei siti internet italiani più visitati e il 184.594° di quella internazionale. Campagne e colline vengono assaltate dalla speculazione edilizia senza ricordare quanto scriveva Montanelli: “Ogni filare di viti o di ulivi è la biografia di un nonno o un bisnonno”. Sono solo alcuni esempi dello stato in cui è ridotta una nazione attivamente impegnata a distruggere la sua unica vera ricchezza: l’arte, i paesaggi, la bellezza. Questo libro è la denuncia appassionata di uno scempio, di cui politici e amministratori sono i principali responsabili, molti cittadini i complici e tanti altri le vittime che dovrebbero far sentire più forte la propria voce. Di tutto questo i politici non si interessano, concentrati a trovare misure fittizie per gettare fumo negli occhi già arrossati degli elettori (i 54.000 posticini tagliati dall’ultima manovra, che non assommano neanche al miliardo di Euro di risparmi), senza strategie di contenimento ed intercettazione di un mercato turistico che, nei prossimi due anni, sarà composto da oltre 110 milioni di unità, solo considerando i cinesi. La cattiva politica è tutta concentrata su se stessa. I suoi riti. Le sue risse. E si tiene stretti tutti i privilegi. Le sole auto blu costano due volte e mezzo l’intero stanziamento per i Beni culturali, dimezzato in 10 anni. E con le doppie pensioni da parlamentare e deputato regionale c’è chi prende 10 volte lo stipendio di un archeologo. Come scrive oggi Gramellini su La Stampa, questa politica degli usurpatori di tale titolo, deve farci indignare di diritto, in una Nazione che per storia e tradizione ha un passato da difendere ed una bellezza da conservare. Non dobbiamo chiudere gli occhi su questi scempi, perché, come scriveva il sempre scomodo Curzio Malaparte, “il peggior modo di essere patriotti è chiudere gli occhi sui guasti della propria nazione”. Perdere il bello attorno a noi riduce la nostra bellezza, perché l’estetica è anche un fatto etico e senza etica si cade nella bruttura della politica italiana di questi anni. Ancora più recente, come pubblicazione e scritto dal giovanissimo Jacopo Storni, “Sparategli !”; un libro, come recita il sottotitolo, sui “Nuovi Schiavi D’Italia”: le nigeriane minorenni obbligate a prostituirsi a Castel Volturno, le braccianti romene di Vittoria costrette a prestazioni sessuali dai propri datori di lavoro, gli africani schiavi nelle campagne di Calabria, Lazio, Puglia, Basilicata e i rifugiati somali sotto i cavalcavia di Firenze. Con prefazione di Ettore Mo, scritto dal giovane giornalista di Firenze, il libro è il racconto dei viaggi allucinanti degli indiani bruciati da bande di bulli italiani, dei morti sul lavoro e di quelli uccisi da un raffreddore diventato polmonite fulminante per mancanza di cure. E poi i cadaveri sepolti nel cimitero di Lampedusa, dove avanza il degrado e non ci sono neppure lapidi su cui piangerli. “In questo viaggio di Storni – ha detto Ettore Mo – ho letto cose inimmaginabili. I racconti, documentati in presa diretta, illustrano i disagi e le sofferenze cui sono sottoposti gli immigrati, ma anche le responsabilità del Paese che li ospita”.
L’Italia scoperta attraverso le condizioni atroci nelle quali vivono gli immigrati, tra disumanità e indifferenza. L’autore, in questo viaggio durato oltre un anno, si sofferma per giornate intere a raccogliere storie e sentimenti, gioie e dolori, speranze e sbagli di ogni immigrato. Dorme con i migranti nei tuguri, vive i loro drammi, li segue passo passo durante le loro giornate, appuntando puntualmente quello che vocifera l’Italia delle città e dei paesini che li ospitano. “Il Terzo mondo d'Italia – si legge nelle conclusioni di Storni – è una vera emergenza umanitaria, eppure resta impalpabile. È una piaga che, diventando routine, perde la sua essenza emergenziale sconfinando talvolta nell'indifferenza”. Insomma, questi due libri, ci dicono, nei fatti, come l’Italia sia divenuta (e non da adesso), il Paese della bruttezza, della iniquità e del cinismo. Naturalmente di tutto questa l’intellighenzia politica se ne frega e si appresta a godersi le meritate vacanze, dopo il tour de force di questo agosto. Le blande reazioni dell’opposizione, Idv in testa, alla ultima manovra, ci fanno capire che anche fuori dal governo qualcuno non è poi così contrario a questo italco imbarbarimento, forse perché non ha capito o forse perché non gli dispiace affatto. A noi invece dispiace che chi dovrebbe guidarci non rifletta mai sul fatto che questo è un Paese disorientato, vicino a un fallimento che nessuno si aspettava. Un Paese che sta perdendo la testa e in cui rischia di passare qualunque cosa, anche la più suicida per la propria economia, stabilità, democrazia, etica e cultura, persino con l’apporto di chi avrebbe il compito di fare da cane da guardia allo sciagurato governo che abbiamo. E che invece rischia di diventarne cane da riporto. Viene così in mente “La parabolo dei ciechi”, disegnata da Brugel nel 1568 e, anche lei, conservata in Italia, al museo Capodimonte, dove il grande fiammingo, ispirato al tema evangelico del “cieco che guida un altro cieco»”e della loro caduta nel fosso (Matteo 15, 14; Luca 6, 39), derscrive “la terribile verità dei poveracci”, destinati sempre a cadere nel baratro, a causa di fiducie, sempre o quasi, mal riposte. Tre anni fa lessi “Indignazione”, ultimo romanzo di uno degli scrittori più lucidi di oggi, quel Philip Roth che fa parlare il soldato semplice Marcus Messner, con le budella squartate, una gamba amputata e l' inguine martoriato, consapevole di essere stato ucciso su una collina coreana conquistata dalle truppe cinesi al grido di “indignazione”, una parola suo inno nazionale che richiama gli affronti subiti dai giapponesi e che, per l’intera durata del romanzo, riecheggia come un l’unica vera salvezza per l’uomo di oggi. L' indignazione che dà il titolo a quel romanzo (e infiamma da qualche anno anche la coscienza politica dell' autore), è la conseguenza del male che ci sta attorno, l’unico modo per reagivi e non rimanerne invischiati. Indignarsi, infatti, esprime una dolente e rabbiosa volontà di diniego di fronte a una vita sprecata e tradita a causa di decisioni prese da altri. L'amarissima morale la affido alla battuta finale del libro di Roth, secondo cui occorre comprendere il terribile modo in cui anche le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati e, comunque, ci possono ancora differenziare nello sfascio generale di etica e di valori.

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